venerdì 26 agosto 2016

Il mistero della "Beethoven" nave scuola triestina


La nave scuola "Beethoven" all'ormeggio a New Castle nel 1910
l mistero della “Beethoven” nave scuola triestina che sparì in mare nel 1914
Partita il 29 febbraio da Newcastle verso Valparaiso non arrivò mai a destinazione: “inghiottita” dall’oceano con tutti 33i suoi cadetti
TRIESTE Il 29 febbraio del 1914, la nave scuola "Beethoven" di Trieste, un elegante veliero per l'addestramento pratico degli studenti delle varie scuole e istituti nautici dell'Impero austro-ungarico, salpò dal porto di Newcastle, in Australia, dopo aver imbarcato un carico di carbone, alla volta di Valparaiso, in Cile. A bordo del bastimento, al suo viaggio inaugurale e al comando del capitano Vittorio Orschulek, c'erano diciannove giovanissimi cadetti originari di Trieste, Zara, Monfalcone, Gorizia, Vienna e altre località e scuole nautiche delle antiche provincie, più diciassette uomini d'equipaggio fra timonieri, carpentieri e cuochi. Primo ufficiale era il ventiquattrenne Giovanni Cosulich, figlio del grande armatore lussignano Augusto Cosulich.
La "Beethoven" avrebbe dovuto raggiungere Valparaiso, passando il Capo di Buona Speranza, dopo sessanta giorni di navigazione attraverso una delle plaghe oceaniche più tempestose del mondo, nota ai naviganti come i "Quaranta ruggenti". Ma il bel veliero a quattro alberi non arrivò mai a destinazione: non se ne seppe più nulla, non fu mai trovato nemmeno lo straccio di un relitto né una sola scialuppa, non fu intercettato un segnale, nessuno seppe mai dire che fine avesse fatto. L'immenso oceano inghiottì i giovani cadetti e tutto l'equipaggio, e ancora oggi non si sa a quale sorte sia andata incontro la "Beethoven".La scomparsa della nave scuola triestina segnò di fatto la fine dei grandi traffici marittimi a vela, il definitivo affermarsi della navigazione a motore, la vittoria della rombante modernità sul dominio dei venti. Mentre il mondo sprofondava nel gorgo della Grande guerra, la scomparsa tra i flutti di un pugno di cadetti chiamati a vivere il mare secondo regole e dettami di un tempo finito appare oggi come uno dei tanti segni di quel drammatico trapasso epocale di cui l'anno 1914 rappresenta lo spartiacque.
Il naufragio della "Beethoven", in realtà, fu una tragedia annunciata. Il suo destino sembrò segnato sin dall'inverno del 1900, quando il Consiglio di Stato, dando voce a un'istanza degli armatori triestini, avanzò all'imperial regio governo la richiesta di allestire una nave a vela per la formazione tecnico-pratica degli ufficiali della marina mercantile. I progressi tecnici stavano rivoluzionando molto in fretta la marineria, e se pure era stato superato l'obbligo di un periodo di navigazione su navi a vela per gli aspiranti ufficiali, diventava difficile per i futuri capitani trovare in imbarco adatto. I ragazzi, si diceva, non avevano sufficiente preparazione pratica, addestrati più a navigare tra scartoffie e regolamenti che in mare.
La nave scuola "Beethoven" in un dipinto di W. Steffens (1912

La modernità stava uccidendo la tradizione, i vecchi lupi di mare «con le gambe arcuate e le rughe sulla fronte» erano ormai una specie in via di estinzione. Di fronte a tutto ciò le principali compagnie armatrici, soprattutto all'estero e con l'appoggio dei rispettivi governi, si orientarono sempre di più verso l'impiego delle navi scuola. Nel maggio del 1913, su iniziativa dei Fratelli Cosulich, nacque a Trieste la Società Anonima Nave-Scuola, in concorso con l'Austro Americana, il Lloyd Austriaco, la Tripcovich, la Libera Triestina, e l'appoggio finanziario del governo tramite i dicasteri dell'istruzione e del commercio. La città di Trieste avrebbe avuto la sua nave scuola a vela. La scelta cadde su un veliero in disarmo a Genova battente bandiera norvegese: il "Beethoven". Costruito assieme al gemello "Mozart" a Greenock, in Scozia, era uno scooner con quattro alberi e scafo in acciaio, lungo 79,25 metri, largo 12,35, munito di chiglia a trave, prua a clipper, poppa rotonda e un solo ponte con tavolato in legno. Durante i lavori di allestimento vennero apportate alcune modifiche per rendere la nave più veloce e adatta al trasporto delle merci, modifiche che fecero subito storcere il naso agli stessi esperti ministeriali: il bastimento rischiava così un assetto meno stabile in caso di tempesta

n realtà le polemiche erano cominciate a piovere sulla "Beethoven" ancora prima che prendesse il mare. Circoli nautici e stampa non avevano risparmiato critiche: primo, si diceva, le navi scuola «non possono essere dei semplici bastimenti mercantili, perché hanno una missione del tutto opposta», visto che un veliero sottoposto ai capricci dei venti non può rispettare le date di carico e di consegna come un piroscafo. Poi, la nave a vela è «ormai superata da anni dalla macchina a vapore», per cui inutile «insistere su d'una pratica velica soprattutto da compiersi in viaggi transoceanici»: così si distruggeva «d'un tratto tutta quella evoluzione che la scienza apportò alla carriera nautica». Folle era inoltre non dotare la nave di un motore ausiliario e, ancora peggio, di un impianto di radio-telegrafia. Ancora, i cadetti avrebbero fatto perlopiù i facchini, sarebbero stati pochi rispetto alle esigenze generali, e in definitiva spedire sugli oceani tempestosi ragazzi inesperti a bordo di un veliero significava mandarli dritti fra le braccia di Poseidone. Dietro le dispute si nascondeva però una questione squisitamente politica: la "Beethoven" rappresentava la difesa a oltranza degli interessi del governo e degli armatori privati nel sostanziale disinteresse del bene comune, e cioè la formazione di una nuova e più efficiente marineria.
Le polemiche non servirono: la "Beethoven" salpò a vele spiegate da Genova per il suo viaggio inaugurale il 24 giugno 1913, senza motore ausiliario e senza telegrafo di bordo, alla volta di Cadice, dove avrebbe imbarcato i cadetti arrivati nel frattempo con il piroscafo "Oceania". Per dimostrare la bontà delle sue scelte e tenere alta la bandiera di famiglia, Augusto Cosulich volle a tutti i costi sul veliero come primo ufficiale uno dei suoi figli, il giovanissimo capitano Giovanni Cosulich. Non l'avrebbe mai più rivisto. Gli ultimi cadetti furono imbarcati a Montevideo, in Uruguay, il 27 ottobre, con una grande festa cui parteciparono le autorità locali e i rappresentanti del governo austro-ungarico. Il 23 novembre 1913 la "Beethoven" salpò da Montevideo e dopo 62 giorni di navigazione, doppiando Capo Horn, raggiunse Newcastle, in Australia, dove caricò 3104 tonnellate di carbone. La sosta si prolungò più del previsto per uno sciopero dei minatori, e alcuni membri dell'equipaggio, innamorati di ragazze del luogo o in cerca di altre fortune, ne approfittarono per disertare, secondo una pratica allora piuttosto diffusa.
La "Beethoven" ripartì da Newcastle il 29 marzo 1914 per attraversare il Pacifico e affrontare i "Quaranta ruggenti". Avrebbe dovuto portare il carbone a Valparaiso dopo un paio di mesi di navigazione senza scalo, ma non arrivò mai. Il veliero scomparve nel nulla, senza lasciare la minima traccia, in un punto imprecisato lungo la sua rotta, probabilmente divorato da un uragano. A tre mesi dalla partenza da Newcastle le famiglie dei cadetti cominciarono a mostrare segni di inquietudine. Il 23 luglio "Il Piccolo" scrisse che non c'era da preoccuparsi, il veliero era senz'altro finito in bonaccia nel Pacifico. Il 15 dicembre 1914, mentre il mondo e l'Impero precipitavano nel baratro della Grande guerra, gli armatori triestini si arresero dando l'annuncio ufficiale; «dopo 250 giorni si devono considerare perduti il bastimento e tutto l'equipaggio».
Negli anni fiorirono leggende. Si disse che due naufraghi avessero raggiunto l'isola polinesiana di Pitcaim facendo fortuna, e nel 1991 qualcuno giurò che in un villaggio polinesiano si parlava una lingua molto simile al dialetto triestino. La verità è che le anime di quei ragazzi, sacrificati come tanti altri innocenti a un'epoca che ha segnato l'intera umanità, vagano ancora su fondo del vasto mare sperando solo che qualcuno, ogni tanto, si ricordi di loro.
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