lunedì 13 maggio 2013

Il cimitero delle navi-dove vanno a "morire "le petroliere?

E questo è il punto: dove vanno a "morire" le petroliere? Oggi smantellare navi è soprattutto un lavoro da "paesi poveri". Intere spiagge in India, Bangladesh, Pakistan e in parte Turchia sono diventate "cimiteri" dove le carcasse di navi sono sezionate da lavoratori di solito armati di seghe e fiamma ossidrica, smontate per toglierne i metalli riciclabili, pezzi di macchinari - chi ha visto questi cantieri li ha descritti come gironi infernali di chiazze oleose, barili che perdono, veleni nerastri e lamiere arrugginite. Questi quattro paesi più la Cina smaltiscono oggi il 90% delle navi rottamate dai paesi industrializzati (l'India ha la parte del leone, il 60%, ma Pakistan e Bangladesh si aggiudicano le navi più grosse). Gli standard di sicurezza sono minimi, o zero.
Insomma: mandare vecchie petroliere alla demolizione in paesi in via di sviluppo è un modo ben mascherato di esportare rifiuti tossici.

 

"Nel cantiere di Potenza Beach, nel porto di Chittagong, si trovano quasi 20 navi l’una accanto all’altra in varie fasi di smantellamento. Sbadigliano, mostrando i loro corpi sventrati e versando inquinamento sulle rive sabbiose. I lavoratori sono esposti a numerosi rischi: cadute, incendi, esplosioni e vengono a contatto con diversi tipi di sostanze chimiche tossiche."Troppo spesso le navi che i miei operai demoliscono contengono sostanze che li danneggiano," dice un capo cantiere. "Ma se la navi non vengono demolite, perdiamo il lavoro. Per questo dobbiamo farlo comunque." I circa 1500 operai dei cantieri di Chittagong guadagnano a malapena 2 dollari al giorno per distruggere le carcasse di acciaio. La maggior parte di loro non indossa indumenti di protezione. Molti non possiedono neanche guanti per proteggere le mani dai tagli causati dalle enormi lastre di metallo. Come in altri cantieri di demolizione del sud dell’Asia, la poca tecnologia che vi si trova è spesso rudimentale. Ci sono testimonianze di cavi che saltano in aria e di esplosioni inaspettate.
Il Bangladesh è fortemente dipendente dall’industria di demolizione navale per l’approvvigionamento interno di acciaio e non si preoccupa di applicare alcuna restrizione all’industria in nome della sicurezza ambientale e dei lavoratori. Non esiste alcun corpo di controllo equipaggiato per far valere le norme basilari di sicurezza ambientale o per assicurare la protezione dei circa 30mila lavoratori direttamente coinvolti nella demolizione navale. Chittagong è oggi il secondo più grande centro per questa industria dopo Alang in India. Chi è responsabile per questa situazione ?
Oltre il 90 per cento delle 700 navi che ogni anno vengono fatte a pezzi finisce sulle spiagge di India, Pakistan e Bangladesh. Migliaia di operai lavorano per fare a pezzi le imbarcazioni e ricavarne ritagli di metallo. La maggior parte di queste sono state costruite negli anni ’70, prima che molte sostanze pericolose venissero bandite. Allora venivano utilizzate grandi quantità di amianto, vernici contenenti cadmio, ossido di piombo e anticorrosivo al cromato di zinco, e tinture contro le incrostazioni fatte di mercurio e arsenico.
Le carrette del mare conservano anche un’ampia gamma di altri rifiuti tossici come PCB, stagno tributilico e diverse migliaia di litri di petrolio. Le petroliere trattengono fino a 1000 metri cubi di petrolio residuo. In Europa, questi materiali sono soggetti a controlli speciali e a regole molto rigide. Sulle spiagge aperte di Chittagong, nel Bangladesh sud occidentale, invece, le vecchie imbarcazioni vengono fatte a pezzi in condizioni di lavoro disumane..."
di Matt Shonfeld






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