venerdì 26 agosto 2016

Il Cantiere navale del Muggiano

Il Cantiere Navale del Muggiano
(di Fond. Ansaldo)...
La nascita del Cantiere alla fine dell’800 La felice conformazione del golfo della Spezia, nonché la sua disposizione geografica nel bacino del Mediterraneo, avevano suscitato dapprima l’interesse di Napoleone Bonaparte e poi del Conte di Cavour, Primo Ministro del Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II. Fu Cavour che , nel 1857, istituì alla Spezia la sede del primo Dipartimento Marittimo del Regno di Sardegna. Sempre Cavour, in quegli anni, affidò a Domenico Chiodo lo studio per la creazione dell’Arsenale della Spezia. Ma le intenzioni del conte di Cavour andavano oltre: egli sapeva che nel golfo di Tolone si era stabilito un grandioso cantiere di costruzioni navali, in grado di lavorare sia per la Marina Francese che per altri Paesi, ed aveva intuito la grande opportunità di far sorgere sulle sponde orientali del golfo della Spezia un grande Stabilimento di costruzioni navali in grado di poter rispondere alle esigenze della Regia Marina d’Italia e di lavorare per le Marine Estere. Aveva avviato trattative con un industriale di New York, Mr. William Webb, per la nascita di questo Stabilimento, quando quest’ultimo fu colto dalla morte e il progetto non si concretizzò. Tuttavia la costa compresa nel tratto di mare tra l’insenatura di S.Teresa e la palude bonificata di Stagnoni possedeva veramente caratteristiche ideali per un cantiere navale; tanto che nel 1883 fu la Società “GEORGE HANFREY & Co.” a far sorgere il Cantiere Navale di Muggiano, sui cui scali furono impostati e successivamente varati due piroscafi da carico e quattro piccoli rimorchiatori aventi lunghezza di 14m e potenza di 75 CV.
Gli sviluppi del Cantiere tra la fine dell’ 800 e i primi anni del 900. Sono gli anni in cui si intrecciarono le storie e gli sviluppi di due cantieri limitrofi, per poi unirsi definitivamente nel 1913. Da un lato vediamo il Cantiere di Muggiano, rilevato nel 1887 dalla “CONTINENTAL LEAD AND IRON COMPANY Ltd” e nel 1897 dalla “HOFER,
palo. Nel 1898, l’entrata nel consiglio di amministrazione della “HOFER, MANAIRA & C.” di alcuni capitalisti piemontesi incrementò la base finanziaria del Cantiere nonché i mezzi di produzione : fu infatti ricavata nelle acque antistanti gli scali una darsena cui vennero affiancate officine attrezzate all’allestimento di navi varate. Le maestranze nel 1900 erano circa 1500, prevalentemente provenienti dall’entroterra (alta e bassa Lunigiana). Alcuni dei più grandi e famosi velieri italiani in acciaio furono varati in quel periodo fra cui nel 1903 l’”ITALIA” il più grande veliero mai costruito nei cantieri nazionali.
Nel 1904 il cantiere era dotato di sei scali adibiti alla costruzione di navi in ferro aventi lunghezza che variava da un minimo di 105m fino ad un massimo di 170m. Sono gli anni in cui il Cantiere, diretto dall’ing. Manaira, venne principalmente utilizzato per la costruzione di piroscafi adibiti all’importazione di materiale tessile dall’America Settentrionale per i cotonifici del Piemonte.
Tra il 1899 e il 1913 il Cantiere, la cui denominazione societaria nel frattempo divenne “SOCIETA’ ANONIMA CANTIERE NAVALE DEL MUGGIANO” e successivamente (1906) “CANTIERI NAVALI RIUNITI”, costruì 33 navi, tra cui piroscafi da carico, passeggeri e misti. Notevole la costruzione dei transatlantici “DUCA DEGLI ABRUZZI” e “DUCA DI GENOVA”, varati nel 1907 e 1908, per conto della Navigazione Generale Italiana, destinati alla linea Genova – New York. Dall’altro lato vediamo sorgere nel 1905, accanto al cantiere già esistente, un altro cantiere, denominato “FIAT MUGGIANO”, sorto con lo scopo di costruire motoscafi in collaborazione con le Officine Meccaniche FIAT di Torino; attività che non diede però i risultati economici
previsti. Nel 1907 il cantiere fu ricapitalizzato dalla società S.Giorgio di Sestri Ponente, assumendo la denominazione “FIAT-S.GIORGIO”. Fu deciso di lanciare lo Stabilimento nel programma di costruzione di sommergibili, mezzo strategicamente emergente presso tutte le marine europee e d’oltre oceano. Furono assunti tecnici e maestranze qualificate nel settore, in particolare l’ing. Cesare Laurenti, già capitano del Genio Navale: i primi sommergibili furono costruiti in quegli anni.
Nel 1907 scese in mare il primo sommergibile costruito a Muggiano, il “FOCA”, di 185 t . Fecero seguito nel 1908 due battelli per due Marine estere, lo svedese “HWALEN”, pure di 185 t e il danese “DYKKEREN”, di 105 t, tutti progettati dal Laurenti, nominato in quell’anno Direttore dello Stabilimento.
Questi sommergibili, tutti con motori a benzina per la navigazione in superficie, diedero risultati molto brillanti: particolarmente ammirato per le sue qualità marine, delle quali diede prova in modo perfetto, fu il sommergibile “HWALEN” che, solo con i propri mezzi ed affrontando mare burrascoso nel Golfo di Biscaglia, effettuò la traversata di 4000 miglia dalla Spezia a Stoccolma.
Nel 1913 l’effetto dell’impulso che prese la costruzione di sommergibili richiese un aumento di mezzi e di personale. La “FIAT S.GIORGIO” acquistò la società “CANTIERI NAVALI RIUNITI” incorporandone le capacità produttive .
In quell’epoca è da ricordare, per la genialità del progetto e le difficoltà tecniche superate, la costruzione della “CEARA’”; commissionata dal Brasile e ideata dall’ing. Laurenti, doveva costituire la nave appoggio per le squadriglie di sommergibili che operavano in alto mare, dar loro assistenza tecnica e logistica nonché consentire di eseguire su di essi qualunque intervento di carenaggio. La nave “CEARA’” era in grado di compiere il salvataggio di un sommergibile affondato alla profondità di quaranta metri, nonché di ricoverare nella sua parte centrale un sommergibile di 400t.
La prima guerra mondiale Dal 1915 al 1918 il Cantiere svolse non solo una febbrile attività per far fronte ai bisogni della Marina Italiana, costruendo e consegnando quindici sommergibili del tipo “MEDUSA” modificato, ma riuscì a portare a termine le commesse di sette sommergibili per marine estere
Inoltre il Cantiere ebbe occasione di occuparsi di costruzioni che, se pur estranee al campo navale, presentavano affinità nella lavorazione: fu così che vennero costruiti affusti per cannoni, carri ferroviari attrezzati ad uso officine, alto forni, gru, ecc. Durante il 1917 fu constatato come fossero diventate oltremodo necessarie anche strutture industriali in grado di assumere e portare a termine riparazioni di qualunque entità, sia agli scafi che agli apparati motore delle navi, logorate dall’intenso servizio o danneggiate da eventi di guerra. Fu così che il Cantiere si organizzò in modo da eseguire attività di riparazione navale, quali la ristrutturazione del piroscafo “MILAZZO” incendiatosi durante la traversata dall’America e l’intervento sul piroscafo “MANIN”, cui si dovettero riparare la fiancata destra squarciata dai siluri e sostituire la macchina motrice danneggiata dall’esplosione.
Il primo periodo post bellico La Ragione Sociale mutò nel 1918, con l’ingresso della famiglia Perrone, proprietaria dell’Ansaldo, in “ANSALDO S.GIORGIO”; per poi diventare, nel 1927 “ODERO-TERNI” e, nel 1930, “ODERO-TERNI-ORLANDO”.
Furono anni di grande attività produttiva svolta in un contesto di infrastrutture decisamente potenziate : negli anni trenta il Cantiere contava una forza lavoro di 4000 operai, 400 impiegati, ed era attrezzato per costruire navi fino ad una lunghezza di 220 m . Era sviluppato su una superficie complessiva di 259000 m2 , di cui 60000 coperti; possedeva otto scali, di cui uno coperto per navi fino a 125 m e dislocamento di 13000 t ; all’avanguardia gli impianti di zincatura, nichelatura, nonché varie stazioni di saldatura elettrica ed ossiacetilenica. Nel primo periodo post bellico le costruzioni militari avevano ricevuto nuovo impulso, in particolare con la realizzazione di oltre 50
sommergibili e, per quanto riguarda le navi di superficie, con la costruzione degli incrociatori “ZARA”, di 10600 t , “DIAZ” e “DUCA DEGLI ABRUZZI”, entrambi di 7000 t . In quel periodo vennero sviluppate notevolmente anche le costruzioni mercantili, con navi di varia tipologia per trasporto di passeggeri e di merci. Fra tutte va segnalata la motonave Arborea per il trasporto di passeggeri e merci famosa per gli interni progettati dall’architetto Melchiorre Bega di Bologna.
Il secondo conflitto mondiale Con lo scoppio delle ostilità i cantieri “ODERO-TERNI-ORLANDO” iniziarono a lavorare a ritmo serrato, specializzandosi sempre di più nella costruzione e nell’allestimento di sommergibili ma proseguendo comunque nelle costruzioni di navi mercantili e di mezzi speciali per la Regia Marina (10 motonavi e 6 motozattere).
In questo periodo, in cui il Cantiere toccò la massima punta occupazionale con 4122 operai, furono impostati 21 battelli, ma solo 9 consegnati alla Regia Marina a causa degli eventi bellici. Fra il 10 giugno 1940 e il 1943 furono infatti consegnati il “MALASPINA” e il “BARACCA” (1940), il “PLATINO” e l’“ACCIAIO” (1941), il “COBALTO” e il “NICHELIO” (1942), lo “SPARIDE”, il “MURENA” e il “GRONGO” (1943). Diversa la sorte degli altri sommergibili: “ALLUMINIO”, “MANGANESE”, “ZOLFO”, “SILICIO”, “FOSFORO”, “ANTIMONIO”, e le costruzioni 296, 297, 298 impostati a partire dal 9 dicembre del 1942. Questi battelli, in varie fasi di lavorazione, verranno in gran parte catturati dopo l’8 settembre 1943 e smantellati per recuperarne i materiali. I sommergibili da trasporto “R10”, “R11” e “R12”, impostati nel 1943 e varati nel 1944, avranno vita breve: “R10” e “R12” verranno affondati per creare ostruzioni presso l’Arsenale della Spezia e l’”R11”, trainato a Genova, sarà affondato durante un bombardamento. Nell’aprile del 1945 il Cantiere di Muggiano appariva in condizioni desolanti; la guerra aveva portato alla distruzione di tre capannoni, di un lungo tratto di banchina, allo sconvolgimento di una vasta zona di piazzale e allo svuotamento dei magazzini dai quali, fra le altre cose, erano state asportate circa 15000 t di materiali siderurgici















https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10209150744557617&set=pcb.1092887980803975&type=3
https://www.facebook.com/Laboratorio-di-Storia-marittima-e-navale-Universit%C3%A0-di-Genova-268697916628235/?notif_t=notify_me_page&notif_id=1472166696347889
https://www.facebook.com/enrico.manfredi.56

Il mistero della "Beethoven" nave scuola triestina


La nave scuola "Beethoven" all'ormeggio a New Castle nel 1910
l mistero della “Beethoven” nave scuola triestina che sparì in mare nel 1914
Partita il 29 febbraio da Newcastle verso Valparaiso non arrivò mai a destinazione: “inghiottita” dall’oceano con tutti 33i suoi cadetti
TRIESTE Il 29 febbraio del 1914, la nave scuola "Beethoven" di Trieste, un elegante veliero per l'addestramento pratico degli studenti delle varie scuole e istituti nautici dell'Impero austro-ungarico, salpò dal porto di Newcastle, in Australia, dopo aver imbarcato un carico di carbone, alla volta di Valparaiso, in Cile. A bordo del bastimento, al suo viaggio inaugurale e al comando del capitano Vittorio Orschulek, c'erano diciannove giovanissimi cadetti originari di Trieste, Zara, Monfalcone, Gorizia, Vienna e altre località e scuole nautiche delle antiche provincie, più diciassette uomini d'equipaggio fra timonieri, carpentieri e cuochi. Primo ufficiale era il ventiquattrenne Giovanni Cosulich, figlio del grande armatore lussignano Augusto Cosulich.
La "Beethoven" avrebbe dovuto raggiungere Valparaiso, passando il Capo di Buona Speranza, dopo sessanta giorni di navigazione attraverso una delle plaghe oceaniche più tempestose del mondo, nota ai naviganti come i "Quaranta ruggenti". Ma il bel veliero a quattro alberi non arrivò mai a destinazione: non se ne seppe più nulla, non fu mai trovato nemmeno lo straccio di un relitto né una sola scialuppa, non fu intercettato un segnale, nessuno seppe mai dire che fine avesse fatto. L'immenso oceano inghiottì i giovani cadetti e tutto l'equipaggio, e ancora oggi non si sa a quale sorte sia andata incontro la "Beethoven".La scomparsa della nave scuola triestina segnò di fatto la fine dei grandi traffici marittimi a vela, il definitivo affermarsi della navigazione a motore, la vittoria della rombante modernità sul dominio dei venti. Mentre il mondo sprofondava nel gorgo della Grande guerra, la scomparsa tra i flutti di un pugno di cadetti chiamati a vivere il mare secondo regole e dettami di un tempo finito appare oggi come uno dei tanti segni di quel drammatico trapasso epocale di cui l'anno 1914 rappresenta lo spartiacque.
Il naufragio della "Beethoven", in realtà, fu una tragedia annunciata. Il suo destino sembrò segnato sin dall'inverno del 1900, quando il Consiglio di Stato, dando voce a un'istanza degli armatori triestini, avanzò all'imperial regio governo la richiesta di allestire una nave a vela per la formazione tecnico-pratica degli ufficiali della marina mercantile. I progressi tecnici stavano rivoluzionando molto in fretta la marineria, e se pure era stato superato l'obbligo di un periodo di navigazione su navi a vela per gli aspiranti ufficiali, diventava difficile per i futuri capitani trovare in imbarco adatto. I ragazzi, si diceva, non avevano sufficiente preparazione pratica, addestrati più a navigare tra scartoffie e regolamenti che in mare.
La nave scuola "Beethoven" in un dipinto di W. Steffens (1912

La modernità stava uccidendo la tradizione, i vecchi lupi di mare «con le gambe arcuate e le rughe sulla fronte» erano ormai una specie in via di estinzione. Di fronte a tutto ciò le principali compagnie armatrici, soprattutto all'estero e con l'appoggio dei rispettivi governi, si orientarono sempre di più verso l'impiego delle navi scuola. Nel maggio del 1913, su iniziativa dei Fratelli Cosulich, nacque a Trieste la Società Anonima Nave-Scuola, in concorso con l'Austro Americana, il Lloyd Austriaco, la Tripcovich, la Libera Triestina, e l'appoggio finanziario del governo tramite i dicasteri dell'istruzione e del commercio. La città di Trieste avrebbe avuto la sua nave scuola a vela. La scelta cadde su un veliero in disarmo a Genova battente bandiera norvegese: il "Beethoven". Costruito assieme al gemello "Mozart" a Greenock, in Scozia, era uno scooner con quattro alberi e scafo in acciaio, lungo 79,25 metri, largo 12,35, munito di chiglia a trave, prua a clipper, poppa rotonda e un solo ponte con tavolato in legno. Durante i lavori di allestimento vennero apportate alcune modifiche per rendere la nave più veloce e adatta al trasporto delle merci, modifiche che fecero subito storcere il naso agli stessi esperti ministeriali: il bastimento rischiava così un assetto meno stabile in caso di tempesta

n realtà le polemiche erano cominciate a piovere sulla "Beethoven" ancora prima che prendesse il mare. Circoli nautici e stampa non avevano risparmiato critiche: primo, si diceva, le navi scuola «non possono essere dei semplici bastimenti mercantili, perché hanno una missione del tutto opposta», visto che un veliero sottoposto ai capricci dei venti non può rispettare le date di carico e di consegna come un piroscafo. Poi, la nave a vela è «ormai superata da anni dalla macchina a vapore», per cui inutile «insistere su d'una pratica velica soprattutto da compiersi in viaggi transoceanici»: così si distruggeva «d'un tratto tutta quella evoluzione che la scienza apportò alla carriera nautica». Folle era inoltre non dotare la nave di un motore ausiliario e, ancora peggio, di un impianto di radio-telegrafia. Ancora, i cadetti avrebbero fatto perlopiù i facchini, sarebbero stati pochi rispetto alle esigenze generali, e in definitiva spedire sugli oceani tempestosi ragazzi inesperti a bordo di un veliero significava mandarli dritti fra le braccia di Poseidone. Dietro le dispute si nascondeva però una questione squisitamente politica: la "Beethoven" rappresentava la difesa a oltranza degli interessi del governo e degli armatori privati nel sostanziale disinteresse del bene comune, e cioè la formazione di una nuova e più efficiente marineria.
Le polemiche non servirono: la "Beethoven" salpò a vele spiegate da Genova per il suo viaggio inaugurale il 24 giugno 1913, senza motore ausiliario e senza telegrafo di bordo, alla volta di Cadice, dove avrebbe imbarcato i cadetti arrivati nel frattempo con il piroscafo "Oceania". Per dimostrare la bontà delle sue scelte e tenere alta la bandiera di famiglia, Augusto Cosulich volle a tutti i costi sul veliero come primo ufficiale uno dei suoi figli, il giovanissimo capitano Giovanni Cosulich. Non l'avrebbe mai più rivisto. Gli ultimi cadetti furono imbarcati a Montevideo, in Uruguay, il 27 ottobre, con una grande festa cui parteciparono le autorità locali e i rappresentanti del governo austro-ungarico. Il 23 novembre 1913 la "Beethoven" salpò da Montevideo e dopo 62 giorni di navigazione, doppiando Capo Horn, raggiunse Newcastle, in Australia, dove caricò 3104 tonnellate di carbone. La sosta si prolungò più del previsto per uno sciopero dei minatori, e alcuni membri dell'equipaggio, innamorati di ragazze del luogo o in cerca di altre fortune, ne approfittarono per disertare, secondo una pratica allora piuttosto diffusa.
La "Beethoven" ripartì da Newcastle il 29 marzo 1914 per attraversare il Pacifico e affrontare i "Quaranta ruggenti". Avrebbe dovuto portare il carbone a Valparaiso dopo un paio di mesi di navigazione senza scalo, ma non arrivò mai. Il veliero scomparve nel nulla, senza lasciare la minima traccia, in un punto imprecisato lungo la sua rotta, probabilmente divorato da un uragano. A tre mesi dalla partenza da Newcastle le famiglie dei cadetti cominciarono a mostrare segni di inquietudine. Il 23 luglio "Il Piccolo" scrisse che non c'era da preoccuparsi, il veliero era senz'altro finito in bonaccia nel Pacifico. Il 15 dicembre 1914, mentre il mondo e l'Impero precipitavano nel baratro della Grande guerra, gli armatori triestini si arresero dando l'annuncio ufficiale; «dopo 250 giorni si devono considerare perduti il bastimento e tutto l'equipaggio».
Negli anni fiorirono leggende. Si disse che due naufraghi avessero raggiunto l'isola polinesiana di Pitcaim facendo fortuna, e nel 1991 qualcuno giurò che in un villaggio polinesiano si parlava una lingua molto simile al dialetto triestino. La verità è che le anime di quei ragazzi, sacrificati come tanti altri innocenti a un'epoca che ha segnato l'intera umanità, vagano ancora su fondo del vasto mare sperando solo che qualcuno, ogni tanto, si ricordi di loro.
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2016/08/25/news/il-mistero-della-beethoven-nave-scuola-triestina-che-spari-in-mare-nel-1914-1.14011182?refresh_ce



sabato 13 agosto 2016

Il nocchiere fuori rotta: Ritrovato il Tamigi,sfidò l'inverno siberiano.

Il nocchiere fuori rotta: Ritrovato il Tamigi,sfidò l'inverno siberiano.: Affondato nel 1878, è stato la nave di Joseph Wiggins di Francesca Artuad 9 agosto 2016 L’hanno trovato lungo l’aut...

Il Piroscafo Baron Gautsch

Baron Gautsch
Rovigno per effettuare alcune immersioni sui numerosi relitti che si trovano al largo delle coste dell’Istria.
sul Relitto del Baron Gautsch che è considerato, soprattutto a causa della sua tragica storia, uno dei relitti più affascinanti del Mediterraneo.
IL BARON GAUTSCH - La storia
Nell’agosto del 1914 il Baron Gautsch (Il nome Baron Gautsch viene dato in onore del Barone Paul Gautsch von Frankethurn, che fu dapprima Ministro dell’Educazione e in seguito Ministro degli Affari Interni dell’Impero Austro-Ungarico) aveva il compito di trasportare i profughi della Bosnia ed Erzegovina e i villeggianti delle isole verso Trieste Prima di salpare le autorità militari convocano una riunione presso il k.u.k. Seebezirkskommando, quartier generale della Marina, durante il quale il secondo ufficiale, Tenze, inviato dal capitano del Baron Gautsch, Paul Winter, viene informato della rotta da seguire per evitare un campo minato che era stato allestito in difesa del porto di Pola. Le autorità militari, per ragioni di segretezza, non avevano comunque fornito la posizione esatta delle mine. Alle ore 11.00 del 13 agosto 1914, il “Baron Gautsch” salpava dal porto di Lussin Grande, diretta verso Trieste dove è previsto l’arrivo per le ore 18.00.
Alle 14.50 circa il Baron Gautsch viene avvistato a circa 7 miglia a nord dell’isola di Brioni
Il piroscafo urta una mina ancorata sul fondo sul lato di sinistra, proprio sotto la linea di galleggiamento, all’altezza delle caldaie tra la cucina e la dispensa di prima classe. Il tutto avviene in una manciata di minuti, il Baron Gautsch si inclina sul lato di sinistra e ciò rende impossibile l’alaggio di tutte le scialuppe. Dopo 6 minuti circa rimane solo un enorme gorgo. La sagoma dell’elegante piroscafo è completamente inghiottita dal mare. Circa 177 persone, tra cui numerose donne e bambini, annegano o muoiono bruciati dall’olio bollente rilasciato dai serbatoi. 159 persone vengono soccorse e tratte in salvo dai cacciatorpedinieri “Csepel”, “Triglav” e “Balaton” che accorrono immediatamente da Pola.

Il relitto viene ritrovato nel 1951 dal palombaro triestino Giacomo Stocca, su indicazioni di un altro palombaro, Libero Giurassici, socio, assieme a Ferruccio Torcello e Bartolo Prioglio, della Compagnia Industriale Mercantile di Trieste che aveva acquistato il relitto. Unico problema: per lavorare in territorio jugoslavo occorreva un corrispondente locale, con il quale si creano subito forti conflitti di interesse.
Da allora, fino al 1992, del relitto si persero le tracce. Solo i pescatori croati ne conoscevano l’ubicazione (o meglio, conoscevano l’ubicazione di un relitto) in quanto perdevano sempre le loro reti quando pescavano in questa zona.
Del ponte superiore sono rimaste le strutture e parte del legno, i fumaioli non ci sono più, al loro posto degli enormi fori che sprofondano nelle viscere della nave. La nave è maestosa in perfetto stile liberty, la sala da pranzo della prima classe era un elegante elegante salone addobbato con velluti e broccati, le colonne ricoperte di stucchi ed adornate da capitelli ionici, ora è rimasta solo la struttura esterna perchè essendo tutto legno e rimasto ben poco. Alcuni ponti in legno ancora presenti sono infatti pericolosi perchè possono crollare anche solo da un violento movimento di pinne. La sala macchine è accessibile e si possona ammirare le caldaie che costituivano il cuore della nave. Le eliche in bronzo invece vennero recuperate nel 1920.
L'immersione
Immergersi sul Baron Gautsch è senza dubbio una emozione fortissima, il relitto visibile quasi dalla superficie mette in soggezione per la sua maestosità. Il relitto è facilmente penetrabile in molte zone, il primo ponte è molto ampio e c’è spazio per muoversi con estrema facilità in qualsiasi direzione. Il ponte inferiore nasconde qualche insidia, è molto più basso rispetto al superiore e per poterlo percorrere senza battere le rubinetterie si necessita di un ottimo assetto. La parte però che senza dubbio crea le emozioni più grandi riguarda la visita dei piani inferiori. Entrando da una porta situata sullo scafo si percorre per intero su di un lato, e tornando indietro su l’altro tutto il relitto, facendo incredibili incontri. Ci sono enormi gronghi che quieti e curiosi vengono incontro ipnotizzati dalle torce, ci sono mostelle di dimensioni mostruose, ma la cosa che più disorienta è la quantità di astici che sbucano da ogni parte. Comunque tornando alla descrizione del relitto, il piano sottostante era quello probabilmente di servizio, infatti appena dentro con grande sorpresa ci si imbatte in quello che resta della cucina e continuando dietro ad alcune porte ancora semi integre si trovano i bagni, dove sono ancora visibili i servizi e le vasche. E’ proprio questa parte del relitto che mi ha fatto conoscere per la prima volta la sensazione della penetrazione con le quattro pareti intorno, un lungo corridoio dentro alla pancia del relitto che corre avanti senza mai lasciar vedere ne la fine ne la luce fatta eccezione per fasci di straordinaria bellezza che filtrano dagli oblò. Quasi dimenticavo: gli oblò…!
Fortunatamente la legge Croata è molto severa nei confronti della salvaguardia dei loro relitti, in particolar modo per il Baron Gautsch, considerato insieme ad altri due relitti Monumento Nazionale, quindi fatta eccezione per qualche “buco nelle lamiere”, gli oblò ci sono ancora tutti, e garantisco che sono uno spettacolo da vedere tutti in fila lungo le fiancate.
Questa immersione che si svolge a profondità che vanno dai 28 metri fino ai 40 metri, è riservata a subacquei esperti, che sapranno apprezzare questo relitto anche in condizioni di visibilità non ottimale.
Per poter allungare il tempo d’immersione senza dover superare i tempi di “non decompressione” è consigliato l’uso di miscele nitrox per i sub abilitati.
http://www.centrosubvicenza.it/popup_uscite/baron_gautsch.htm

Ritrovato il Tamigi,sfidò l'inverno siberiano.


Affondato nel 1878, è stato la nave di Joseph Wiggins

di Francesca Artuad 9 agosto 2016

L’hanno trovato lungo l’autostrada che dalla Mongolia attraversa tutta la Siberia per poi sfociare nell’Artico. Nel cuore dello Yenisei, uno dei fiumi più imponenti del mondo.
Era quasi a pelo d’acqua. Vicino ad un villaggio di pescatori, vicino a Goroshikha, a sud del Circolo Polare Artico.
Eccoli lì, il Tamigi. Il vascello a vapore che si ‘perse’ in un inverno del 1878. Rincorrendo un sogno folle. Risalire lo Yenisei per cercare una porta che avrebbe finalmente assicurato uno scambio commerciale con la Siberia. Una rotta marittima che sembrava un’utopia. Inghilterra – Asia settentrionale. Risalendo un fiume.

Quando Putin ha saputo, ha sorriso e ha detto “E’ la scoperta dell’anno”.
Già. E’ la vittoria della Società Geografica Russa, che da un po’ di tempo è a caccia di clamore e storie. Storie di mare, si intende. Storie di grandi avventure e di ‘condottieri’ coraggiosi.
Il Tamigi era guidato da una specie di leggenda degli Oceani. Joseph Wiggins. L’uomo che si era convinto che lo Yenisei era l’unico modo per restituire la Siberia al mondo. L’uomo che con i suoi viaggi nei mari del Nord aveva contribuito alla realizzazione di un altro sogno folle: la ferrovia Transiberiana. Prima di morire ritirò il Premio Murchison dalle mani del Presidente della Royal Geographical Society. Una sorta di Premio Nobel di chi va per mare.
Ora la ‘sua’ nave, quella che gli aveva dato più gioie e più dolori, e che aveva perso per sempre in quella infinita
distesa d’acqua carica di leggende e storia, è risalita a galla come un fantasma. E ha aspettato che la trovassero. Lasciando che la poppa fosse ben visibile. Fiducioso, forse, che un giorno, chissà.
La storia del Tamigi è controversa. Wiggins si era intestardito. Voleva risalire lo Yenisei e ci aveva provato già una volta. Senza successo. Poi nel 1876 partì. Determinato a raggiungere Abakan o una qualsiasi città dell’interno. La spedizione venne fermata dall’inverno terribile e freddissimo. Wiggins lasciò la sua nave sul fiume e tornò in Inghilterra. Poté raggiungerla solo due anni dopo. Quando ormai il Tamigi era scomparso nelle acque gelide dello Yenisei.
Gli uomini di Putin l’hanno cercato per anni, il vascello. E prima di trovarlo anche tirato fuori anche un altro relitto. Quello della goletta Northern Lights, affondata negli stessi anni del Tamigi. Con quattro cadaveri a bordo.
Poi la scoperta più importante. E l’annuncio al mondo. “Abbiamo ritrovato la nave di quel pazzo di Wiggins”.
Le storie di mare sono così. E non fa niente che questa volta protagonista è un fiume meraviglioso. Ci sono sempre gli abissi, i viaggi avventurosi, e i sogni.
Francesca Artuad
http://www.mybooklet.it/siberia-ritrovato-il-relitto-del-tamigi/

mercoledì 3 agosto 2016

La PT-109, la motosirulante di Kennedy

JFK al centro seduto
Verso le 02:00 del 2 agosto 1943, una notte senza luna, la motosilurante di Kennedy unitamente ad altre unità gemelle, si trovava nel''arcipelago delle Salomone per intercettare il naviglio giapponese. La PT-109 aveva spento il motore per evitare il rilevamento della scia da parte degli aerei giapponesi quando l'equipaggio si accorse di trovarsi sulla rotta del cacciatorpediniere giapponese Amagiri, che stava rientrando da una missione di sbarco di 900 soldati.

Equipaggio della PT-109,in piedi a destra JFK

la PT-109 durante il trasporto
Fu varata il 20 giugno 1942 e il 10 luglio dello stesso anno consegnata alla Marina statunitense, che provvide al suo equipaggiamento presso i cantieri New York Navy Yard di Brooklyn.
Le motosiluranti da pattugliamento di questo tipo furono le più grosse utilizzate dalla Marina statunitense durante la seconda guerra mondiale. Con le loro 40 tonnellate di stazza e 20 metri di lunghezza, avevano un robusto scafo in legno, realizzato con due strati di fasciame in mogano spessi 2,5 cm. Erano dotate di tre motori a benzina Packard (uno per ogni albero d'elica) di 1 500 hp ciascuno, che potevano spingerle fino alla velocità massima di 76 km/h.La principale arma d'offesa erano i 4 tubi lancia siluri posti sui lati e aveva un
equipaggio standard fra i 12 e i 14 uomini.
L'Amagiri stava viaggiando ad una velocità elevata, fra i 43 ed i 75 km/h, per rientrare nel porto di partenza entro l'alba. L'equipaggio della PT 109 ebbe meno di 10 secondi per incrementare la velocità ma il cacciatorpediniere travolse la nave americana; ciò avvenne nello stretto di Blackett fra Kolombangara e Arundel, nelle isole Salomone, vicino al punto di coordinate 8°06′44″S 156°54′20″E.
La PT-109 fu tagliata in due parti ed affondo'.I marinai Andrew Jackson Kirksey e Harold W. Marney rimasero uccisi e altri due membri dell'equipaggio gravemente feriti.
Tutte le isole maggiori dei dintorni erano controllate dai giapponesi e quindi i sopravvissuti dovettero raggiungere a nuoto in 4 ore la piccola isola di Plum Pudding (denominata ora Isola Kennedy). In questa occasione il futuro presidente, utilizzò la cinghia di un salvagente, tenuta serrata fra i suoi denti, per trascinare il suo compagno
macchinista, gravemente ustionato. L'isola scelta pero' aveva dimensioni ridottissime con un diametro di appena
90 metri ed era priva di cibo e acqua. Con ulteriori 4 ore di nuoto Kennedy riuscì a raggiungere le isole Naru e Olasana, alla ricerca di cibo e soccorso; egli quindi guidò i suoi uomini su quella di Olasana, sulla quale si potevano trovare noci di cocco ed acqua potabile.
Nel frattempo l'esplosione ed il conseguente affondamento della PT-109 furono visti da un osservatore australiano, il sottotenente Arthur Reginald Evans, che presidiava un posto segreto di osservazione. Evans inviò due isolani delle Salomone, Gasa e Kumana con la loro canoa alla ricerca di eventuali naufraghi che
JFK al timone
furono individuati dopo 6 giorni . In un primo tempo furono scambiati per Giapponesi ma Kennedy riusci a convincerli della loro nazionalità americana ed incise su una noce di cocco un messaggio da portare alla più vicina base militare alleta. I due indigeni trasportarono la noce con il messaggio con grandi rischi attraverso 65 km di acque ostili, pattugliate dai giapponesi, alla più vicina base alleata sull'isola di Rendova. Infine la PT-157, al commando del tenente William Liebenow, poté giungere a recuperare i sopravvissuti.
La noce di cocco venne conservata in un involucro di vetro da Kennedy, che durante la sua Presidenza la tenne sulla sua scrivania nello Studio Ovale ed oggi è in mostra nella Biblioteca John F. Kennedy a Boston nel Massachusetts.
Il relitto della PT-109 fu localizzato nel maggio del 2002 da una spedizione della National Geographic guidata dal professor Robert Ballard. Alla profondità di circa 360 m venne individuato un tubo lanciasiluri e la parte prodiera della motosilurante. Kennedy torno' piu' volte a trovare i suoi salvatori che vennero anche invitati alla cerimonia per il suo insediamento alla Casa Bianca ma per alcuni
disguidi non riuscirono a partecipare. Nel 2007 Kumana, unico sueperstite, venne portato sulla portaerei "USS Peleliu" dove partecipo' ad una cerimonia in suo onore.
Kumana, uno dei due indigeni che salvarono l'equipaggio della PT-109
Kumana viene portato a bordo della "USS Pelelin nel 2007

Il cacciatorpediniere Giapponese" Amagiri"


La noce di cocco con il messaggio: "NAURO  ISL COMMANDER...NATIVO KNOWS
POS'IT...HE CAN PILOT...11 ALIVE NEED SMALL BOAT...KENNEDY"