Catturata dai tedeschi, viene sottoposta a lunghi lavori di riparazione ed entra in servizio nella Kriegsmarine il 9 Giugno 1944 con la sigla TA35 (Torpedoboot Ausland), sigla usata per contraddistinguere le torpediniere requisite di nazionalità straniera. Viene, quindi, assegnata alle operazioni di scorta lungo la costa dalmata; solo altre due torpediniere ex italiane si trovarono ad operare alla fine del 1943 in alto Adriatico: la TA21 (ex Insidioso) e la TA22 (ex Missori). Il 15 aprile del 1944 si trova a Trieste presso i Cantieri Riuniti dell'Adriatico per lavori e dopo pochi mesi viene riconsegnata alla II Flottiglia Navi Scorta, di base a Fiume.
La sua attività nella Kriegsmarine finisce il 17 agosto del 1944, alle 4:58, quando viene spezzata in due dall'urto contro una mina nel Canale di Fasana, tra Pola e Rovigno, in Croazia; nell'affondamento morirono 71 uomini di equipaggio. Un piccolo mistero segna la storia di questa torpediniera: alcune fonti, infatti, sostenevano che la nave, dopo l'affondamento in acque croate, fosse stata recuperata e portata a Trieste per riparazioni presso il cantiere San Marco, dove fu affondata durante un bombardamento aereo e demolita poi alla fine della guerra. Un'altra versione la dà affondata nel canale di Fasana, confermato anche da quanto riportato negli archivi della Kriegsmarine, considerati atti validissimi fino alla fine del 1944, dove le coordinate di affondamento della TA35 ricadono proprio nel canale croato.
E proprio lì si trova il relitto della TA35, identificata da alcuni subacquei grazie al rinvenimento a poppa, sotto una spessa copertura d'incrostazioni biologiche, del secondo nome della nave "DEZZA". Il relitto è adagiato sul fondo del mare ad una profondità di circa 35 m su un fondale sabbioso fangoso. Risulta spezzato in due tronconi distanti tra loro circa 200 metri; il troncone di prua è rovesciato su un fianco mentre quello di poppa giace in assetto di navigazione. Qui, il cannone di poppa svetta ancora puntato verso l'alto ed è la prima cosa che i subacquei vedono quando scendono su questo storico relitto
Il cambio di nominativo fu reso necessario in seguito all'ammutinamento dell'equipaggio,
incorso durante la presa di Fiume da parte di Gabriele D'Annunzio.
Il “Pamir”, veliero a quattro alberi con scafo in acciaio dalla stazza lorda di 3.020 t. e netta di 2700 t., faceva parte di una serie di navi dello stesso tipo costruiti dal cantiere navale “Blohm & Voss” di Amburgo, nel periodo 1903-1923, per conto della compagnia di navigazione tedesca “Ferdinand Laeisz Rhederei” della stessa città. La “Laeisz“ in quel tempo era specializzata nel trasporto dei nitrati dal Cile e le sue navi, capaci e robuste, adatte al passaggio di Capo Horn, avevano raggiunto un’eccellente reputazione. Nel 1955 il “Pamir” e il “Passat” vennero rilevati da un consorzio di armatori tedeschi che, con il contributo dello Stato, costituirono la fondazione no-profit “Pamir und Passat” alla funzione commerciale veniva abbinata l’istruzione velica dei futuri ufficiali della marina mercantile; la direzione fu affidata alla “Zerssen & Co.” di Lubecca. Il “Pamir” e il “Passat” dal 1955 al 1957 effettuarono diversi viaggi in Sud America avendo sempre a bordo giovani allievi desiderosi di intraprendere una carriera nella marina mercantile. Il 1° giugno 1957, uscito dal cantiere “Blohm & Voss” per l’ennesima revisione, il “Pamir” lasciava Amburgo in zavorra per raggiungere
Buenos Aires nel mese di luglio. A bordo aveva cinquantadue allievi (di età tra i 16 e i 18 anni) e trentaquattro uomini d’equipaggio, compreso il capitano e gli ufficiali, per un totale di ottantasei uomini. A causa di una malattia il comandante del “Pamir” (il Capitano Hermann Eggers) fu rilevato per il viaggio dal Capitano Johannes Diebitsch che aveva un’esperienza limitata a velieri di dimensioni modeste. Anche il primo ufficiale Rolf Koehler, già imbarcato come secondo ufficiale nei due precedenti viaggi, aveva una modesta conoscenza professionale. Erano anni in cui era difficile formare un equipaggio pratico nella conduzione di una nave a vela delle dimensioni del “Pamir”, la guerra aveva lasciato dei grandi vuoti nel personale navigante di ogni ordine e grado. A Buenos Aires il “Pamir” caricò 3.525 tonnellate di orzo alla rinfusa e 255 tonnellate in sacchi. I sacchi furono caricati nelle stive sopra l’orzo che era stato immesso anche nelle casse di zavorra per ottimizzare la distribuzione dei pesi. In quei giorni i portuali di Buenos Aires erano in sciopero e il carico del veliero avvenne con il personale di bordo e il supporto di militari.
E' così che il 10 di agosto il veliero iniziò il viaggio di ritorno ad Amburgo, con un carico non stivato secondo la pratica standard, con un comandante nuovo alla nave e con un secondo senza esperienza. Il 20 settembre, a due terzi del percorso e a quaranta giorni da Buenos Aires, il “Pamir” incappò nell’uragano “Carrie” che dalle isole di Capo Verde aveva girato a nord delle Bermuda ed attraversato l’Atlantico verso l’Europa. Durante queste manifestazioni meteorologiche i venti possono superare 130 km/h (12 gradi scala Beaufort) e le onde possono alzarsi ben oltre i 15 metri di altezza. Da tenere presente che spesso questi uragani investono un bastimento in maniera repentina causando una serie di problemi in rapida successione che diventano ad un certo punto non più gestibili. E’ sicuramente a questo punto che il comandante Diebitsch diede l’ordine al marconista di lanciare
messaggi di richiesta d’aiuto.
La nave, per lo spostamento del carico, le vele a brandelli (non erano riusciti a serrarle, viste le circostanze) non era governabile, non poteva cioè minimizzare i danni provocati dalle ondate che la investivano con opportune accostate. Tutte queste circostanze, producevano uno stress all’alberatura non più sopportabile, dopo il prolungato tempo al quale era stata sottoposta. Le navi per affondare si devono appesantire con l’acqua che penetra nello scafo da qualche falla; e falla ci fu, nella coperta, inclinata e quindi invasa dall’acqua provocata dall’alberetto di trinchetto, venuto giù con tutte le relative manovre, strappate dalla forza del vento. Sorprendentemente la nave era ancora a galla all’alba del 21 settembre. Con il giorno il Comandante ordinò all’equipaggio di prepararsi ad abbandonare il veliero. Lo sbandamento impedì di mettere in mare le imbarcazioni di salvataggio del lato destro, obbligando ad ammainare solo quelle del lato sinistro. Quando alla fine il “Pamir” si rovesciò affondando di poppa, una ventina di marinai rimasero a lottare in una lancia di salvataggio. Altri si gettarono in acqua e cominciarono a nuotare per salvarsi sulle zattere; solo una decina riuscirono a raggiungere una lancia rimasta a galla in virtù delle casse d’aria
di cui era fornita. A questo punto incominciava la lotta per la sopravvivenza dei naufraghi. Una grande operazione di ricerca a largo raggio dei naufraghi ebbe inizio coinvolgendo navi e aeroplani di diverse nazioni per una decina giorni. Alla sera del 22 il mercantile americano “Saxon” della Isbrandtsen Lines individuò e soccorse una imbarcazione di salvataggio con cinque uomini a bordo. I superstiti vennero in seguito trasferiti sulla U.S.N.“Geiger” che li sbarcava sabato 28 settembre, giusto una settimana dopo il disastro, a Casablanca e da qui in aereo arrivarono a Francoforte. Il sesto superstite, il marinaio Gunther Hasselbach di 20 anni, venne salvato la sera del 24 settembre dal guardacoste americano “Absecon” che, date le sue condizioni di salute, venne sbarcato a Portorico per cure raggiungendo successivamente Amburgo. La notizia del naufragio fu appresa in Germania dalla radio e dalla stampa, gettando la popolazione in angoscia anche per le notizie contraddittorie sul numero dei marinai che si sarebbero salvati e che in seguito vennero smentite. Purtroppo il Paese aveva già subito in passato la perdita di due navi scuola: la “Niobe” nel 1932 e l’“Admiral Karpfanger” nel 1938 con la scomparsa di tante giovani vite. http://www.aidmen.it/…/ricorrenze-la-tragedia-del-veliero-s…
Post di Mauro Gastaldo, che ringraziamo! ringrazio anch'io! Laboratorio di Storia marittima e navale - Università di Genova ha aggiunto una nuova foto all'album: La marina mercantile a vela fra Ottocento e Novecento.
La leggenda del “Feuerspeier” (Buttafuoco) di Mario Veronesi
“Si racconta che durante la II Guerra d’indipendenza (1859) giunsero a Stradella una quarantina di marinai dell’Imperiale Regia Marina, con il compito di assistere i pontieri nella costruzione e nel traghettamento delle truppe austro-ungariche sul Po. Più che occuparsi dell’acqua, i marinai si sarebbero però occupati di vino, tanto da risultare “dispersi” proprio all’inizio delle operazione belliche. All’inizio si pensò che la loro scomparsa fosse causata da uno scontro a fuoco con i piemontesi, o con i contrabbandieri numerosi in quella zona di confine. Pertanto lo Stato Maggiore austro-ungarico decise di iniziare le ricerche degli scomparsi, inviando reparti di Ussari a cavallo nei dintorni di Stradella. Infatti furono ritrovati sani, ma completamente ubriachi in una cantina dalle parti di Canneto-Castana, sulle cui botti era scritto; “vino Buttafuoco” che gli austriaci tradussero: “Feuerspeier”. Nel 1872 la Marina Imperiale varò la cannoniera “Erzherzog Albrecht” che dopo trent’anni di attività e ormai superata il 31 marzo 1908 venne radiata e, si racconta che in ricordo di quell’ottimo vino fu ribattezzata “Feuerspeier”, e registrata come pontone da utilizzare come alloggio per gli Allievi della Scuola di Artiglieria di Pola. Nel 1916 con l’incremento della Flotta Sommergibili venne adattato ad Acquartieramento Sommergibilisti dei numerosi U-Boote tedeschi operanti in Adriatico. Nel 1920 venne consegnato all’Italia che lo portò a Taranto e le diede il nome di “Regia Nave Buttafuoco”, continuando ad utilizzarlo come nave-caserma per alloggiamenti equipaggi sommergibili del IV Gruppo. In seguito le venne dato la sigla GM64. Nel 1947 era ancora nell’arsenale di Taranto, dove venne infine demolito nel 1955, dopo ben 83 anni dal varo.”
Nota: riferendosi al 1859 sarebbe più esatto parlare di Österreichische Kriegsmarine ("Marina da guerra austriaca") e non di k.u.k. Kriegsmarine (Imperiale e regia marina) nome assunto nel 1867 per effetto dell'Ausgleich
(compromesso) tra l'Impero d'Austria e il Regno d'Ungheria. Per il periodo dal 1797 al 1849 la dicitura esatta é österreichische-venezianische Kriegsmarine ("Marina da guerra austro-veneziana"). Per quanto riguarda l'esercito fino al 1889 le forze armate portavano il titolo di "k.k." (kaiserlich österreichisch, königlich böhmisch, "imperiale austriaco, reale boemo"), non corretto dopo il compromesso del 1867. Solo per espresso volere del Regno d'Ungheria venne introdotta in quell'anno la designazione "k.u.k." (kaiserlich und königlich, imperiale e regio), per chiarire la distinzione tra la nuova k.k. Landwehr austriaca e la nuova k.u. Honvéd.
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” comprende la fascia vitivinicola collinare dell’Oltrepò Pavese per i territori a sud della via Emilia dei seguenti comuni in provincia di Pavia: Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola, Pietra de’ Giorgi. Il vino “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” deve essere ottenuto dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: - Barbera: dal 25% al 65%; - Croatina: dal 25% al 65%; - Uva rara, Ughetta (Vespolina), congiuntamente o disgiuntamente: fino a un massimo del 45%.
Fonte: http://www.lavocedelmarinaio.com/…/la-leggenda-del-feuersp…/
Post di Mauro Gastaldo, che ringraziamo! https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=634321333399223&id=268697916628235&substory_index=0
Le navi hanno un nome e un’anima. Spesso le tre cose (nave, nome e anima) coincidono. Un celebre caso è quello del San Giorgio, veterano di tutte le guerre italiane dall’epoca dell’entrata in servizio, nel 1910, alla difesa di Tobruch nel 1940-1941. Libri, articoli e documentari furono dedicati a quella nave, da allora fino a oggi. In teoria, quindi, si sa tutto sul San Giorgio. Manca però un tassello. Un piccolo dettaglio di appena 364 tonnellate di stazza.
Il nome San Giorgio fu infatti portato, in quegli anni, anche da un piroscafetto della Società Anonima di Navigazione a vapore Istria varato nel 1914 e iscritto, dal 12 maggio 1940, nei ruoli del Naviglio Ausiliario dello Stato con la caratteristica F. 95. Ma con un nome e un patrono del genere non ci si poteva mica limitare ai pur dignitosissimi compiti del pilotaggio.
E infatti, ecco che nell’aprile 1941, data la mancanza, o quasi, di navi da guerra italiane in Alto Adriatico al momento della guerra con la Jugoslavia, la nostra vedetta passa in prima linea col proprio cannone prodiero da 57/43 (era un pezzo del 1887, un’annata evidentemente ottima per i cannoni). Imbarcato, da buon vaporetto, un plotone da sbarco di marinai, il nostro andò a occupare, sparacchiando qua e là quando era necessario, più di un’isola in Dalmazia per due settimane di fila. Nel 1942 diventò poi un posamine, imbarcando una dozzina di armi per volta da posare, tra un pattugliamento e l’altro, nei canali dell’arcipelago. Mestiere pericoloso, certamente, ma non più di quello di tante altre navi e dei loro uomini di quei tempi o nel corso di ogni guerra. Questo almeno, fino alle ore 17.25 del 18 febbraio 1943. In quel momento, come registra il Diario di Supermarina, qualcuno nella Sala operativa (il progenitore dell’attuale CINCNAV, a Santa Rosa) credette di aver capito male. Il messaggio, trasmesso in chiaro, diceva “Avvistato e attaccato il nemico, nave San Giorgio combatte”. Il vecchio incrociatore era affondato più di due anni prima. Seguì, pochi minuti dopo, un altro marconigramma, trasmesso precedentemente in codice e appena decifrato: “45° 02N 13° 35 E (a sud di Capo Promontore, in Istria, n.d.a.) attaccato da Smg. con lancio di un siluro che passa sotto lo scafo senza esplodere. Lancio bombe di profondità”. Le bombe disponibili erano solo 4, ma la reazione della nave italiana lanciata a tutta velocità (in verità, 10 nodi) risalendo la scia del siluro era stata rapida e precisa. Avvistato il pur sottile periscopio d’attacco, il San Giorgio tirò contro quel bersaglio 3 colpi col pezzo di prora. Poco dopo il battello avversario, l’inglese Thunderbolt, emerse. Nel rapporto di missione del comandante britannico si afferma di aver lanciato, da meno di 500 metri, contro una corvetta. Come promozione su campo non c’era male per quel piroscafetto. Le notizie inglesi affermano poi che il sommergibile, sottoposto alla caccia antisom avversaria, emerse per “attaccare” la nave italiana. Peccato che la distanza iniziale tra le due navi fosse di 5.500 yard per poi salire, nel corso di un quarto d’ora, a oltre 8.000 tra il battello che filava a 17 nodi e il vaporetto che lo incalzava a, sì e no, 11 producendo un gran fumo nero con la propria vecchia macchina a triplice espansione alimentata a carbone e i fochisti che spalavano e sudavano come dannati. Le proporzioni tra il battello inglese, da 1.326 tonnellate e lungo 84 metri fuori tutto, e i 38 metri del San Giorgio erano le stesse della lancia del comandante Achab contro Moby Dick.
Il duello tra il cannone da 102 mm inglese, il quale tirò 66 granate in risposta al fuoco del 57 italiano (32 proietti sparati in quella fase) non produsse danni reciproci, come rilevò subito, e onestamente, il rapporto di missione italiano. I britannici scrissero, invece, di aver messo a segno diversi colpi sul bersaglio, probabilmente ingannati dalla densa nuvola di fumo che usciva dal fumaiolo della nave. Alla fine, riparate le avarie minori riportate quando era in immersione, il Thunderbolt, visto che la luce stava calando (due to the failing light) ed essendo ormai in una zona di fondali sufficienti, pensò bene di immergersi e allontanarsi. Probabilmente lo spirito di San Giorgio, patrono di Genova, non volle infierire.
Il Thunderbolt fu poi affondato, il 12 marzo 1943, davanti a Capo San Vito, in Sicilia, dalla corvetta italiana Cicogna. Il San Giorgio continuò la propria guerra in Adriatico. 7 marzo 2016 Enrico Cernuschi http://www.marina.difesa.it/Notiziario-online/Pagine/20160307_sangiorgio.aspx
Calypso è la nave che l'oceanografo Jacques-Yves Cousteau equipaggiò come laboratorio mobile per ricerche sul campo.
Storia
Dragamine della Royal Navy (1941–1947)
La Calypso era in origine un dragamine (classe BYMS sottoclasse della classe Classe YMS-1) costruito dalla statunitense Ballard Marine Railway Company di Seattle, per conto della Royal Navy britannica.
Costruita con lo scafo in legno a partire dal 12 agosto 1941 col nome di BYMS-26, fu varata il 21 marzo 1942. Entrata a far parte della Royal Navy nel 1943 come HMS J-826 e assegnata al servizio attivo nel Mar Mediterraneo. Riclassificata come BYMS-2026 nel 1944, venne lasciata a Malta e tolta dal servizio nel 1947.
Traghetto maltese (1947–1950)
Diventata un traghetto tra Malta e Gozo dopo la Seconda guerra mondiale venne chiamata Calypso in onore della ninfa omonima, la cui isola di Ogigia era associata a Gozo (in cui vi è la grotta diCalipso in prossimità della spiaggia di Ramla).
Nave per ricerche oceanografiche (1950–1997)
Il milionario irlandese Thomas Loel Guinness M.P. comprò la nave nel 1950 e la affittò a Cousteau per il prezzo simbolico di un franco francese l'anno. Cousteau la ristrutturò e trasformò in una nave da ricerca e base di supporto per le immersioni e le ricerche oceanografiche.
Era dotata di numerose apparecchiature per studi oceanografia e biologia marina, tra cui una sala per osservazioni subacquee posta tre metri sotto della linea di galleggiamento.
Nel gennaio 1996 una chiatta inavvertitamente speronò la Calypso nel porto di Singapore e la affondò. Dopo questo incidente la nave fu trasportata nel porto di Marsiglia e, dopo un periodo di riparazioni, rimorchiata nel 1998 nel bacino di carenaggio del Museo Marittimo di La Rochelle, per farla diventare un museo galleggiante. Il progetto venne ritardato da problemi burocratici che impedirono l'inizio dei lavori di conversione. Nel novembre 2004 fu stipulato un accordo fra la Carnival Cruise Lines e la Società Cousteau: la Carnival dichiarò che avrebbe rimesso in sesto la Calypso per una spesa complessiva di 1,3 milioni di dollari per poi destinarla al ruolo di Museo della Ricerca Oceanografica nelle Bahamas.
Nel novembre 2005 ha avuto luogo un processo tra la Società Cousteau, presieduta da FrancineCousteau, seconda moglie di Jacques, e il figlio dell'esploratore Jean-Michel Cousteau, riguardo all'eredità dell'imbarcazione. La Società Cousteau ha vinto la causa e divulgato un piano secondo cui avrebbe mandato la Calypso negli Stati Uniti per le necessarie riparazioni. Tuttavia, i piani sono cambiati e l'11 ottobre 2007 la nave è finalmente salpata da La Rochelle per essere restaurata presso i cantieri navali Piriou a Concarneau, dove è arrivata il giorno dopo.
John Denver scrisse nel 1975 una canzone intitolata "Calypso" come tributo alla nave e al suo equipaggio.
Il musicista francese Jean-Michel Jarre scrisse nel 1990 una composizione in quattro parti in onore della nave e del suo comandante, intitolata "Waiting for Cousteau". Bill Murray fu attore in un film parodia della vita di Cousteau intitolatoThe Life Aquatic with SteveZissou. Nel film Zissou viaggia per i mari in una nave chiamataBelafonte, riferimento indiretto alla Calypso in quanto Harry Belafonte è un noto musicista giamaicano che suona la cosiddetta calypso music.
Descrizione generale:
Tipo dragamine ClasseBYMS
Cantiere Ballard Marine Railway Company, Seattle, Washington, USA
Da simbolo dell'esplorazione sottomarina a relitto nei cantieri di Concarneau: ecco la storia della Calypso.
16 febbraio 2015
Era il 19 luglio 1950 quando il milionario irlandese Thomas Loel Guinness, discendente della famiglia dei fondatori dell’omonima birra, acquistò l’ex dragamine classe BYMS della Royal Navy affittandolo al comandante Jacques Cousteau, presidente delle Campagne Oceanografiche Francesi, per la cifra simbolica di un franco francese all’anno.
Lo scafo di 42 metri di lunghezza, in pino dell’Oregon, realizzato dai cantieri Ballard Marine Railway Company di Seattle, fu varato il 21 marzo 1942. L’anno successivo entrò a far parte della Royal Navy come HMS J-826 e assegnata al servizio attivo nel Mar Mediterraneo.
Riclassificata come BYMS-2026 nel 1944, venne lasciata nell’isola di Malta e tolta dal servizio nel 1947. Qui operò come traghetto tra Malta e l’isola di Gozo con il nome Calypso, in onore dell’omonima ninfa. Fu qui che Jacques Cousteau e la Calypso si incontrarono per la prima volta.
La nave venne restaurata nei cantieri navali di Antibes ed equipaggiata per la ricerca oceanografica, assumendo il suo aspetto definitivo. La modifica più importante fu la creazione di una camera di osservazione subacquea sotto la prua anche se negli anni seguenti, con nuovi interventi, la nave venne equipaggiata con una piazzola per l’atterraggio di piccoli elicotteri, un mini sommergibile e con attrezzature per la ricerca oceanografica e le riprese subacquee.
Fu grazie a queste che, nel 1955, Cousteau vinse, con “Le Monde du Silence“, la Palma d’Oro al Festival di Cannes ed il premio Oscar nella categoria documentari.
Per 40 anni la Calypso ha accompagnato comandante ed equipaggio per gli oceani di tutto il mondo, sperimentando nuove tecnologie per l’immersione subacquea, le riprese in profondità e, sopratutto, sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema dell’ambiente marino. Il naufragio Alle 15 in punto del 8 gennaio 1996 la Calypso, in procinto di partire per una spedizione lungo il Fiume Giallo, affondava nel porto di Singapore in conseguenza della falla procurata dall’urto di una chiatta in movimento.
Ci vollero 17 giorni di lavoro per tirare fuori dall’acqua lo scafo ormai inutilizzabile.
Al momento dell’affondamento la nave non apparteneva all’Equipe Cousteau (l’associazione di diritto francese non a scopo di lucro, fondata da Jacques Cousteau nel 1981 con il nome di Fondation Cousteau, che nel 1992 ha cambiato nome in Equipe Cousteau) : il proprietario era ancora Thomas Loel Guinness che l’aveva affittata a Cousteau e, dopo la sua morte, avvenuta il 25 giugno del 1997, alla sua organizzazione. Dopo il naufragio la nave venne venduta all’Equipe Cousteau per la cifra simbolica di un franco francese dal nipote ed erede di T.L. Guinness. L’epilogo
Dopo vari passaggi legali necessari a riconoscere come legittimo proprietario della nave l’Equipe Cousteau, il relitto della Calypso è stato trasportato presso i cantieri Piriou di Concareneau dove il 14 dicembre 2007 sono iniziati i lavori di restauro necessari a far riprendere il mare a questa old lady degna di assumere il ruolo di Ambasciatrice dei Mari e degli Oceani, come avrebbe voluto il suo Comandante.
Per un disaccordo tra il cantiere e l’Equipe Cousteau, dal 2009 i lavori sono bloccati e lo scafo, smembrato, fermo nel cantiere. Con una sentenza della Corte di Appello di Rennes del 9 dicembre 2014 l’Eequipe Cousteau è obbligata, stante la situazione di stallo con il cantiere a trovare una nuova sistemazione.
Questo, a oggi, è quanto.
La nave simbolo dell’esplorazione degli oceani rischia un ultimo, e forse più disastroso, naufragio nelle aule di tribunale.
Atlantico settentrionale, a 700 miglia a ovest di Madera e a 1000 miglia di distanza dalla costa africana: il Sommergibile della Regia Marina Alfredo Cappelllini incrocia, nella notte, il piroscafo Kabalo. Il mercantile batte bandiera belga ma è requisito dalla Marina britannica, armato di un cannone da 102 mm e diretto a Freetown in Africa occidentale. Il Comandante del Cappellini, capitano di corvetta Salvatore Todaro si pone all’inseguimento in superficie, predisponendo il battello per un attacco con l’utilizzo dei due cannoni da 100 mm del battello. Il Kabaloapre il fuoco per primo, ma l’azione del sommergibile italiano è breve e decisiva: colpito da una dozzina di proiettili il mercantile viene abbandonato dall’equipaggio.Avvicinatisi per finire il bastimento avversario, gli uomini del Cappellini avvistano prima cinque uomini in acqua, che vengono prontamente recuperati e, successivamente, una lancia con ventuno persone a bordo, tra cui il comandante del mercantile, capitano Georges Vogels. Il comandante Todaro si consulta con lo sfortunato belga per rassicurarsi in merito condizioni dei naufraghi. Sono nel mezzo dell’Atlantico, a centinaia di miglia dalla costa più vicina e, in considerazione dell’estrema difficoltà di una navigazione in pieno autunno con quell’esile scialuppa, Todaro decide e comunica, infine, agli stupefatti interlocutori, la propria intenzione di rimorchiare quell’imbarcazione verso la costa più vicina.
Comincia così un’impresa di salvataggio destinata a entrare nella storia. Dopo un giorno di navigazione, per poter procedere più velocemente, Todaro prende a bordo tutti e ventisei i marinai del mercantile, stipandoli nella falsatorre del battello, e prosegue verso Nord, in direzione dell’arcipelago portoghese delle Azzorre, dove arriva all’alba del 19 ottobre nella pressoché deserta cala di Santa Maria. Al momento dello sbarco, a nome di tutti, il tenente Caudron, ringraziando il Comandante italiano, chiede di poter conoscere il suo nome. Todaro, persona di innata modestia, risponde di chiamarsi Salvatore Bruno (i suoi due nomi di battesimo), tacendo il cognome.
Al rientro alla base italiana dei sommergibili atlantici di Bordeaux, la già celebre BETASOM, il Comandante Todaro fu ripreso per la propria condotta, ritenuta non consona alle esigenze di guerra di un battello in pattugliamento offensivo. Quando gli fu fatto notare che un comandante tedesco non avrebbe mai anteposto la sorte di eventuali naufraghi allo regolare svolgimento della propria missione, Todaro rispose prontamente con una frase lapidaria, riportata da molte fonti e mai smentita, rimasta celebre, da allora in poi, nella storia della nostra Marina: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”.
Sommergibile Cappellini
In effetti si verificarono, durante i primi anni del secondo conflitto mondiale, episodi di assistenza ai naufraghi da parte di U-Boote tedeschi, magari non paragonabili come impegno, e soprattutto distanze, a quello del Cappellini. Altre memorabili imprese da parte di unità della Marina sarebbero presto seguite, in Egeo come nel lontano Oceano Atlantico
L'Artiglio era una nave recuperi a vapore (Piroscafo) della società armatrice SO.RI.MA (Società Ricuperi Marittimi) di Genova fondata l' 11 ottobre 1926 dal commendatore Giovanni Quaglia con capitale sociale di 1.309.500 lire, che cessò l' attività intorno al 1960. La SO.RI.MA. che era nata per il recupero dei carichi delle navi affondate dagli austro-tedeschi durante la Prima guerra mondiale aveva una discreta attività se già nel 1927 si era assicurata l'esclusiva delle allora modernissime attrezzature fabbricate dalla tedesca Neufeldt & Kuhnke per lavori fino a -40m di profondità, e nel 1928 stipulato la convenzione, approvata dal Senato del Regno, per l'esclusiva del recuperi dei carichi dalle navi affondate durante la guerra, per dieci anni.Storia
Era la nave ammiraglia di una piccola flotta di cui facevano parte anche le unità Rostro, Raffio e Arpione, costituita da ex pescherecci e navi militari di piccole dimensioni reperite sul mercato internazionale, adibita al recupero di navi affondate prevalentemente durante la Prima guerra mondiale e successivamente della Seconda guerra mondiale. L' equipaggio era costituito di esperti palombari viareggini come Aristide Franceschini, Alberto Bargellini, Guido Martinelli, Mario Raffaelli, Raffaello Mancini, Fortunato e Donato Sodini, Giovanni Lenci e Carlo Dominici. La flotta era equipaggiata con attrezzature innovative e all'avanguardia per l'epoca, grazie al dinamismo del suo armatore che comprò il primo moderno e funzionante scafandro a pressione atmosferica, ed assecondava l'inventiva di Alberto Gianni, che, con le sue capacità tecniche e grazie all'esperienza propria e dei colleghi, realizzò delle modifiche alle attrezzature tedesche di cui avevano l'esclusiva, rendendole più sicure, inventò varie benne e attrezzature per i recuperi dei carichi e, come è noto inventò la camera di decompressione e la torretta butoscopica, quest'ultima determinante per i recuperi ad alta profondità, allora ancora troppo rischiosi per i palombari dotati delle classiche attrezzature troppo pesanti ed ingombranti.
Tra i primi recuperi effettuati, vi è da ricordare quello del piroscafo inglese Washington, che faceva parte di un convoglio proveniente dagli Stati Uniti d'America, e diretto, presumibilmente, verso La Spezia. Il convoglio fu attaccato tra Camogli e Portofino, da un sommergibile tedesco che lo colpì con un siluro. La cronaca del tempo racconta che l'affondamento non fu immediato, e che tutto l'equipaggio riuscì a salvarsi ad eccezione di una delle due mascotte di bordo, un gatto che impaurito scappo dalla parte sbagliata. Il recupero del carico del Washington, che durò tre anni, vide l'impiego di attrezzature moderne e sofisticate studiate per l'occasione che permisero di recuperare da -80/-90 metri di profondità, quasi l'intero carico della nave costituito da materiali ferrosi grezzi e lavorati e da materiale ferroviario smontato proveniente dagli Stati Uniti d'America. La cronaca dell'epoca dette molto risalto alla notizia del recupero.
La nave Artiglio in particolare assurse con grande clamore alle cronache internazionali del tempo per essere stata inviata, su incarico dei Lloyd's di Londra, nell'oceano Atlantico, al largo del Mare di Brest, alla ricerca del piroscafotransatlanticoSS Egypt, battente bandiera inglese, che trasportava un prezioso e consistente carico di monete e lingotti d'oro, destinato alle banche dell'India, allora ancora colonia inglese. A seguito dei vari clamorosi fallimenti di altre importanti società di recuperi inglesi ed olandesi, il contratto di ricerca e recupero venne così offerto alla SO.RI.MA. di Genova. Al comando delle operazioni vi era il capo palombaro Alberto Gianni. Il relitto dell'Egypt venne individuato il 29 agosto 1930 a una profondità di circa -130 mt ma il maltempo invernale obbligò a rinviarne il recupero alla primavera successiva. Nel frattempo quindi l'Artiglio venne inviato presso l'isola di Belle Île, nel nord ovest della Francia per effettuare il recupero della nave Florence carica di un ingente quantitativo di esplosivi ed affondata nel 1917 davanti al porto ostruendone il passaggio.
Durante le fasi di demolizione della Florence, si suppose erroneamente che l'esplosivo, immerso da più di 13 anni, non fosse reattivo, quindi a seguito dell'azione di una carica demolitrice anche il carico bellico che la nave conteneva esplose. La nave Artiglio, posizionata per il fatale errore di valutazione ad una distanza insufficiente, fu distrutta dall'esplosione e trascinata sul fondo. In questo tragico incidente morì gran parte dell'equipaggio, tra cui i palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi e Alberto Bargellini tutti originari di Viareggio
Artiglio II
Sbarco casse d'oro recuperate sull'Egypt
SS Egypt
In seguito per poter recuperare il tesoro dell'Egypt, il commendator Quaglia armò in tutta fretta una seconda nave, originariamente iscritta con il nome Maurétanie, e rinominandola con lo stesso nome Artiglio, la quale venne tuttavia, per distinguerlo, sempre chiamata "Artiglio II"[3]. Con questa nave, riarmata e ristrutturata dall'equipaggio della SORIMA, in gran parte attrezzata con il materiale recuperato dall'Artiglio, finalmente, grazie anche alle invenzioni e alla organizzazione lasciata da Alberto Gianni, e a fronte di enormi sacrifici da parte dell'equipaggio nelle acque burrascose al largo di Brest, venne finalmente recuperato tutto il tesoro dell'Egypt, in gran parte costituito da monete, barre e lingotti d'oro nonché numerose barre d'argento. Il recupero avvenne ad una profondità per l'epoca ritenuta impossibile da raggiungere da dei palombari, i quali utilizzarono la famosa torretta butoscopica inventata dal Gianni calata a -130 metri per dirigere i lavori delle benne manovrate a bordo dell'Artiglio. Tale avvenimento è stato un fatto di grande prestigio per l'Italia acclamato in tutto il mondo da capi di stato e di governo di quegli anni
Giovanni Quaglia
Il commendatore Giovanni Quaglia, uomo dotato di grande capacità imprenditoriale e lungimiranza, è stato il precursore di tutte le attività navali di recupero ed operazioni subacquee ad alta profondità moderne. Grazie a lui tutte le compagnie petrolifere e le forze navali del mondo si sono poi dotate di mezzi e attrezzature che seguono la filosofia operativa dell'Artiglio e della SO.RI.MA da lui fondata e diretta, società con la quale portò a termine innumerevoli recuperi e operazioni marittime, e che grazie ai suoi continui successi era considerata la migliore e più competitiva in assoluto a livello mondiale. È stato anche il primo armatore italiano ad allestire una flotta di petroliere. Purtroppo venne anche indicato come una persona di pochi scrupoli e che non rispettò gli impegni con i palombari e gli equipaggi che tanto gli avevano fatto guadagnare in prestigio e in denaro, non elargendo i premi e i compensi adeguati promessi, anche con la complicità del regime fascista, grazie al quale riuscì ad eludere le richieste sindacali da parte della allora confederazione marittima.[5] Muore a Genova l'8 dicembre del 1955
David Scott
David Scott
A bordo dell'Artiglio viveva anche il giornalista e scrittore David Scott, inviato speciale del Times che spediva puntualmente articoli da bordo via radio alla redazione e che ha partecipato a ben 3 campagne di ricerca e recupero. Nel tragico giorno dell'affondamento dell'Artiglio era a terra, ma era presente durante la campagna del recupero del tesoro dell'Egypt, e di cui ne descrisse dettagliatamente tutte le fasi. Molto legato a tutto l'equipaggio scrisse in seguito diversi libri che ebbero un notevole successo internazionale sugli avvenimenti relativi alla compagnia SORIMA, contribuendo così a creare il mito dei palombari italiani. I libri da lui scritti sono un punto di riferimento importante per appassionati e storici, perché sono così disponibili numerose e dettagliate informazioni delle vicende storiche legate al mondo dei palombari italiani di quel periodo.
Viareggio
In ricordo della nave e dei palombari viareggini periti, nella città di Viareggio è stata istituita la fondazione "Artiglio" che ogni anno elargisce un premio a chi si sia distinto nel mondo della subacquea, dello studio e della protezione dell'ambiente marino, è anche stato dedicato il nome all'Istituto Tecnico Nautico Statale "Artiglio", nonché una piazza, Piazza Palombari dell'Artiglio ed una strada chiamata Lungo canale Palombari dell'Artiglio. Dal 1966 in città opera il "club subacqueo Artiglio" che prese tale nome in ricordo di quelle fantastiche imprese e il locale museo della marineria ha un'ampia sezione dedicata alle gesta dei palombari viareggini e di attrezzature subacquee messe a disposizione dai soci del club.
Per tenere vivo il ricordo delle imprese dei palombari viareggini e della loro flottiglia e per onorare l’eroico equipaggio della nave Artiglio, la Fondazione Artiglio Europa, in collaborazione con i Rotary Club Milano Est e Viareggio Versilia, con la Federazione Navimodel, con la ModelShip Viareggio e Associazione Modellismo Navigante indice il Concorso Internazionale Modello Nave Artiglio. Il modello da realizzare è quello della nave Artiglio, operante alla fine degli anni 20, affondato a Quiberon il 7 dicembre 1930. Ai concorrenti saranno forniti i disegni della nave, ai quali fare riferimento per il modello che potrà essere realizzato entro due categorie di scala: < 1:75 o >1:75. I modelli saranno valutati da una Giuria formata da Giudici (area Naviga) della Federazione Navimodel.
La premiazione avverrà il 16 maggio 2016, al Museo della Marineria di Viareggio, dove saranno esposti per 15 giorni i modelli in concorso. La scadenza per l’iscrizione al concorso è stata fissata per il 30 novembre prossimo.
Sul sito internet della Fondazione Artiglio Europa www.premioartiglio.it si trovano il bando di concorso, la scheda di iscrizione, le indicazioni storiche relative alla nave Artiglio e i disegni in formato pdf non in scala, in lingua italiana, inglese e francese.
Peschereccio Mechbec prima della trasformazione in nave "Artiglio"
Intero equipaggio dell'Artiglio"
E non solo molti modellisti navali si sono cimentati alla costruzione del modello nave "Artiglio",tra questi secondo il mio parere Mario Ranieri del gruppo Modelli3 di Pontassieve c'è riuscito alla grande ,che nell'altro mio blog http://navimodellismo.blogspot.com documenterò con foto ,tutto il lavoro di costruzione di Mario Ranieri.
modello navale "Artiglio" di Mario Ranieri Descrizione generale
Tipo - Piroscafo da Recupero
Proprietà -Giovanni Quaglia
Cantiere -Glasgow
Completata -1906
Caratteristiche generali
Stazza lorda -283,73 Tsl
Lunghezza -46,68 m.
larghezza -7 m.
Destino finale -affondata in una esplosione il 7 dicembre 1930
Piero Calamai (Genova, 25 dicembre 1897 – Genova, 7 aprile 1972) è stato un marinaio italiano, Comandante superiore e ultimo comandante del transatlantico Andrea Doria.
Biografia
Uomo sposato e con due figlie, Piero Calamai iniziò la sua carriera in mare nel luglio 1916, nella Marina Militare, prestando servizio come guardiamarina. Decorato con la Croce di guerra al valor militare, prese parte anche al secondo conflitto mondiale con il grado di capitano di corvetta di complemento, meritando una seconda croce di guerra.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, riprendeva la sua posizione quale Ufficiale appartenente allo Stato Maggiore in regolamento organico nel ruolo della Italia - Società di Navigazione rientrando così nei ranghi della flotta di stato, servendo come ufficiale prima e comandante poi, su 27 navi diverse, sino ad ottenere il grado di capitano superiore di lungo corso e il comando dell'allora nave ammiraglia della Marina Mercantile Italiana, la TN Andrea Doria, il lussuoso e al tempo stesso modernissimo transatlantico, rimasto nella memoria collettiva perché affondato il 26 luglio 1956 in seguito alla collisione con la nave svedese Stockholm della compagnia di bandiera Swedish America Line . All'affondamento dell'Andrea Doria seguirono polemiche e molte difficoltà nel far luce sulle cause del disastro, difficoltà in parte dovute anche a motivi politici ed agli importanti interessi economici coinvolti
Piero Calamai rimase nei ruoli attivi dellaItalia - Società di Navigazione sino al 31 dicembre 1957, andando in pensione per raggiunti limiti di età.
Dopo l'affondamento dell'Andrea Doria finì, in pratica, la sua carriera, fino ad allora ricca di soddisfazioni. Recenti rivelazioni e nuovi studi hanno riabilitato la figura e confermato la correttezza del suo operato e quello del suo equipaggio (Pierette Simpson, L'ultima notte dell'Andrea Doria - il più spettacolare salvataggio in mare del XX secolo raccontato dai sopravvissuti, edito da Sperling & Kupfer nel luglio 2006; Pierette Simpson, Alive on the Andrea Doria!).
Riposa nella cappella della Famiglia Calamai nel cimitero di Sant'Ilario sulle alture di Genova Nervi, accanto al padre Oreste, al fratello Marco ed alla moglie.
Il fratello minore Marco raggiunse il grado di contrammiraglio nella Marina Militare Italiana ed ebbe anche il comando dell'Accademia Navale di Livorno, mentre il padre Oreste è ricordato come fondatore della prima rivista in Italia dedicata al mondo della marineria, intitolata "La Marina Mercantile".
Piero Calamai
25 dicembre 1897 - 7 aprile 1972
Nato a
Genova
Morto a
Genova
Religione
Cattolicesimo
Dati militari
Paese servito
Regno d'Italia Repubblica Italiana
Forza armata
Regia marina Marina Italiana
Italia – Società di Navigazione
Arma
Marina
Anni di servizio
1916 - 1957
Grado
Capitano di fregata
Guerre
Prima guerra mondiale
Seconda guerra mondiale
Altro lavoro
Comandante superiore del Ruolo Unificato della
Onorificenze
2 Medaglie d'argento al valor militare
Croce di guerra al valor militare
Croce al merito di guerra
Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18 (4 anni di campagna)
L’Italia affacciata sulla seconda metà del XX secolo appare un luogo di grandi speranze. Ogni aspetto della vita sociale attraversa un periodo di profonde trasformazioni e riscatto civile, dopo le distruzioni e le sofferenze causate dal grande conflitto mondiale. Uno dei settori industriali in maggior fermento è rappresentato dalla cantieristica navale. Infatti i collegamenti commerciali con il continente americano acquisiscono una valenza prioritaria per la rinascita economica dell’Europa e, in tale contesto, la lungimirante politica dei primi governi democratici dedica una particolare attenzione allo sviluppo di nuove costruzioni navali. Mettendo a frutto competenze ed esperienze mai disperse, si progettano e si realizzano navi tecnologicamente all’avanguardia, nel rispetto della grande tradizione cantieristica di prima del conflitto. Al vertice di questo rinascimento tecnologico, alle 10.30 del 16 giugno 1951 lascia lo scalo del cantiere genovese Ansaldo di Sestri Ponente lo scafo di un nuovo e meraviglioso transatlantico: il suo nome è Andrea Doria, in onore del grande ammiraglio genovese del XVI secolo.
Costruita nei Ansaldo di Sestri Ponente era l’orgoglio dalla cantieristica navale italiana
La nave si appresta a divenire un’opera di grande pregio e raffinato design. Ogni particolare è concepito alla luce di quella originale, innata capacità manifatturiera e artistica che ancora oggi è definita come Italian Style, una vocazione alla sobria eleganza particolarmente apprez zata e richiesta dal ricco “nuovo mondo” ancora povero di storia e di arte. Quando l’Andrea Doria entra in servizio attivo sulla prestigiosa linea Genova – New York, i collegamenti aerei di massa sono ben lungi dall’esser realizzati su vasta scala e il viaggio di trasferimento da un continente all’altro è ancora un’esperienza piena di fascino. D’altra parte sono ormai trascorsi gli anni dei viaggi disperati in terza classe dell’emigrazione di inizio secolo, in contrasto stridente con i lussi delle prime classi, riservati ad aristocratici e ricchissimi borghesi. Il nuovo corso democratico del mondo occidentale si traduce nella possibilità di viaggiare in modo dignitoso per tutti i passeggeri. Se le eccellenze di un servizio lussuoso e accurato rimangono appannaggio della prima classe, l’ottimo servizio della classe cabina si armonizza degnamente con la ex terza classe che, secondo i nuovi standard di comfort, si definisce ora classe turistica. Novità assoluta, poi, è il moderno sistema di aria condizionata, presente in tutte le zone di soggiorno della nave, incluse le aree destinate al riposo dell’equipaggio. Il servizio offerto a bordo dell’ammiraglia della società Italia riscuote un successo di clientela immediato. Rispetto ai transatlantici britannici e americani, veri e propri “levrieri del mare”, la traversata sull’Andrea Doria dura un giorno in più e, in un’era in cui la fretta e il risparmio di tempo non sono ancora di prioritario interesse, questo giorno in più rappresenta un piacevole diversivo, un momento di cure e attenzioni senza pari. Il 17 luglio 1956, l’Andrea Doria salpa dal molo della Stazione Marittima di Genova, per compiere la sua 101a traversata atlantica.
Un transatlantico leggendario comandato da un ufficiale esperto e carismatico come pochi altri…
Alla guida di un equipaggio competente e professionale è il comandante Piero Calamai, universalmente riconosciuto e stimato come ufficiale di grande esperienza e profondo carisma. Nato a Genova il giorno di Natale del 1897 da una famiglia da sempre legata al mare, compie gli studi da capitano di lungo corso presso il prestigioso Istituto Nautico S. Giorgio del capoluogo ligure. Imbarcato come allievo ufficiale di marina mercantile, Calamai è impiegato in navigazione di guerra per tutta la durata del primo conflitto mondiale, congedandosi con il grado militare di sottotenente di vascello di complemento. Nel primo dopoguerra diviene ufficiale di coperta sulle navi di linea del Lloyd Sabaudo, compagnia divenuta poi, nel 1932, Italia flotte riunite, dopo la fusione con la Navigazione generale italiana e Cosulich società triestina di navigazione.
… Piero Calamai, che si era già distinto per coraggiosi salvataggi in mare
Nello stesso anno, Piero Calamai si distingue per un coraggioso salvataggio in mare di un passeggero caduto dal ponte del Conte Grande in piena navigazione, meritando una medaglia d’argento al Valor civile. Dal 1936 presta servizio come primo ufficiale a bordo dei transatlantici Conte di Savoia e Augustus, ottenendo il suo primo comando sul piroscafo Toscana. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Piero Calamai è richiamato alle armi nella Marina militare con il grado di capitano di corvetta di complemento. Durante il conflitto, la notte dell’11 novembre 1940, si mette in luce per il salvataggio di alcuni marinai, compiuto a bordo della corazzata Caio Duilio, colpita nel corso dell’attacco aeronavale inglese della base navale di Taranto, meritando così una croce al valor militare. Nel secondo dopoguerra, Piero Calamai riprende la sua carriera nella Società Italia, prestando servizio al comando del Conte Grande e del Saturnia, fino a giungere al comando più prestigioso a coronamento di una brillante carriera in mare.
17 luglio 1956: l’Andrea Doria lascia gli ormeggi per la sua 101a traversata atlantica
Alle 11 precise di quel 17 luglio 1956, nella tradizionale cornice allegorica di centinaia di stelle filanti multicolori, l’Andrea Doria lascia gli ormeggi. Dopo aver compiuto uno scalo a Cannes e a Napoli, il pomeriggio del 20 luglio la moderna turbonave italiana supera Gibilterra e affronta l’Atlantico in direzione ovest dirigendosi verso il “nuovo mondo” con a bordo 1706 persone, fra passeggeri ed equipaggio. La traversata è piacevole e il sole splende rendendo il viaggio ancora più gradevole. I passeggeri di giorno si godono appieno le numerose attività ricreative offerte sui ponti e, la sera, si immergono nelle sofisticate atmosfere di questa ammirata galleria d’arte e raffinata ospitalità italiana sul mare. Le firme più prestigiose del design navale come Giovanni Zoncada, Gustavo Pulitzer e Matteo Longoni, coordinate dal famoso architetto Gio Ponti, hanno creato a bordo della nuova ammiraglia della flotta di stato italiana un armonioso insieme d’interni. Particolarmente degno di nota è lo splendido murale su tela, lungo quasi 50 metri, che adorna il salone di prima classe, opera di Salvatore Fiume. L’opera evoca nel suo sviluppo i migliori capolavori di Piero della Francesca, Masaccio e Paolo Uccello, in una sorta di immaginario cammino attraverso il Rinascimento italiano, ora rinato e confluito nel moderno Made in Italy. A completare il quadro d’insieme, opere pittoriche di Felicita Frai e Piero Zuffi, ceramiche di Guido Gambone e una statua in bronzo raffigurante l’ammiraglio Doria, opera dello scultore Giovanni Paganin, posta nella sala di soggiorno di prima classe.
All’arrivo a New York la nebbia spinge il comandante a chiudere le porte stagne e ridurre la velocità
In questa preziosa atmosfera l’Andrea Doria, la sera del 25 luglio, ottavo giorno di navigazione, si avvicina alla piattaforma continentale americana. L’approdo alla sua destinazione finale, il porto di New York, è previsto all’alba del giorno seguente. Dal primo pomeriggio di quel 25 luglio, sulla rotta del transatlantico italiano è comparsa la nebbia, un fenomeno piuttosto frequente in queste zone, a causa dell’incontro tra la temperata corrente del golfo e le gelide acque atlantiche. Il comandante Calamai come sua consuetudine in questi casi, si è subito recato in plancia di comando e non si è più allontanato. Ha già anche predisposto le necessarie misure di sicurezza: porte stagne chiuse, riduzione della pressione alle caldaie con conseguente diminuzione di velocità, segnali acustici regolamentari e un servizio rinforzato di vedette, una delle quali anche all’estrema prora, in prossimità del telefono di manovra.
In direzione opposta naviga il transatlantico Stockholm, affidato al terzo ufficiale…
Alle 12 di quel 25 luglio, è salpato dal Pier 97 del porto di New York il transatlantico Stockholm, della Swedish Home Lines, al comando del capitano Harry Gunnar Nordenson, in rotta verso il nord Europa con 534 passeggeri e 220 uomini di equipaggio. Alle 20,30 Nordenson lascia la condotta della navigazione nelle mani del terzo ufficiale Johan Ernst Carstens, solo in plancia con il timoniere Johannson. Carstens è alla sua quarta traversata atlantica e riceve dal comandante solo alcune disposizioni: avvisare in prossimità della nave faro dell’Isola di Nantucket, divieto di incrociare altre navi a meno di un miglio e avvertire in caso di comparsa di nebbia.
… che alle 22.04 si accorge che la rotta di navigazione è più a nord di quella prevista
Alle 22,04 Carstens, non ravvisa nebbia, fa il punto nave verificando che la rotta di navigazione è più a nord rispetto a quella prevista e imputa l’errore di posizione alle forti correnti marine di quella zona di mare. Alle 22,20, il comandante dell’Andrea Doria, giunto in prossimità della nave faro di Nantucket, nella foschia ne percepisce il “muggito” e ordina al secondo ufficiale in servizio, Curzio Franchini di governare per rotta 269 verso il battello fanale Ambrose, posto a dirigere le navi nel viale di traffico consigliato, alle foci del fiume Hudson, verso la baia di New York. Alle 22,40, a bordo dello Stockholm, il timoniere Peder Larsen prende il posto del collega Johnannson per il suo turno si servizio. Alle 22,45, il Doria procede a 21 nodi, e Franchini, coadiuvato dal terzo ufficiale di coperta Eugenio Giannini, vede il “bersaglio”, che risulterà essere lo Stockholm sullo schermo del radar Raytheon in posizione 17 miglia, 4° a dritta dalla prora su rotta parallela e contraria a 1,3 miglia. Nel frattempo sullo Stockholm, Carstens, che non è assistito da nessun altro ufficiale in plancia, si rende conto che nonostante la correzione di rotta, la nave si trova ancora troppo a nord, fattore da lui attribuito all’imperizia del timoniere Larsen.
Ore 23.05, il radar del Doria vede lo Stockholm a 4 miglia di distanza…
Alle 23,05 il radar del Doria vede lo Stockholm a 15° a dritta ed a 4 miglia di distanza. Calamai dà ordine di accostare di 4° a sinistra in modo da assicurare la vista della luce verde di destra del Doria alla nave incrociante. Nello stesso momento, Carstens, probabilmente sotto pressione per gli aggiustamenti di rotta eseguiti da solo nell’attigua sala nautica, per la scarsa esperienza personale e per la sfiducia verso la navigazione imprecisa del timoniere Larsen, compie un errore dalle conseguenze fatali.
Anche il radar dello Stockholm vede il Doria ma chi legge i rilevamenti compie un tragico errore
Carstens, certo di trovarsi a sinistra del Doria, in base ai rilevamenti del suo radar, ordina a Larsen una decisa accostata a dritta di ben 22°, con l’intento di distanziarsi in sicurezza nel prossimo incrocio con l’Andrea Doria. Nella manovra omette la segnalazione acustica del fischio, prescritta, in vista di altre navi, dall’articolo 29 del regolamento per la prevenzione degli abbordi in mare. Sono le 23,07. Intanto sul Doria Calamai e Giannini si sono portati dalla plancia sull’aletta di dritta e con il binocolo scrutano nella foschia chiedendosi il motivo per cui non si sentono i segnali acustici e non si intravedono le luci di navigazione dello Stockholm, che hanno una portata di 5 miglia. Giannini corre al radar per un controllo di posizione e quando torna in aletta finalmente riesce a scorgere le luci della nave.
Ore 23,07, un urlo gela l’intero equipaggio: “ci viene addosso”
A quel punto Giannini si avvede con raccapriccio che la bianca sagoma del transatlantico svedese accosta rapidamente in rotta di collisione e grida: “ci viene addosso!”. Calamai ordina tutta barra a sinistra a macchine invariate, mentre Franchini esegue i due fischi regolamentari. Carstens vede di colpo le luci del Doria e sente i fischi della manovra. In fretta ordina una virata tutto a dritta per sfuggire all’imminente impatto.
Basterebbero 100 secondi per portare a termine una manovra di scampo…
Da quel momento, servono 100 secondi per portare a termine una manovra di scampo, 100 secondi durante i quali due mondi di spensierata vita sul mare stanno ancora ballando, riposando o conversando amabilmente dinnanzi a un cocktail. Da un finestrino di plancia Giannini urla: “non passa!!”. Carstens esita, poi ordina macchine indietro tutta, basterebbero da quell’ordine poco più di 300 metri per arrestare la nave ma sono rimasti solo 10 secondi di tempo per non sconvolgere quei due piccoli mondi e quel tratto di mare immerso nella sua quieta tranquillità
.… ma ormai non c’è più spazio per evitare la terribile collisione
Ne basterebbero solo altri 10 di secondi, ma ora il cronometro del destino si è fermato. Sono le 23:11. Piero Calamai, reggendosi alla balaustra dell’aletta di dritta, osserva inorridito la bianca e affilata prua artica dello Stockholm infrangersi con devastante fragore nel ventre della sua nave, lacerandola per 12 metri, appena a poppa della plancia di comando, proprio all’altezza delle cabine di prima classe. Siamo a 19 miglia a ponente della nave faro di Nantucket, 40 miglia ad est di Boston.
La prua rinforzata dello Stockholm investe il ventre del Doria aprendo uno squarcio di 12 metri
Nello schianto o nel successivo allagamento dei compartimenti colpiti, muoiono 43 persone sull’Andrea Doria e quattro sullo Stockholm. La collisione con la prua rinforzata della nave svedese provoca nel Doria una falla quattro volte maggiore della falla standard della normativa Solas 48, cioè superiore ai due compartimenti stagni stabiliti come limite alla galleggiabilità di progetto, ritenendosi di tipo continuo per effetto delle ulteriori falle provocate dal successivo sfregamento dello scafo dello Stockholm lungo la fiancata di dritta, fino alla poppa dell’Andrea Doria. Calamai, in base alla sua esperienza di mare, capisce di avere solo due opzioni; può cercare di portare la nave verso i bassi fondali del Nantucket Sound, nella speranza di incagliare il transatlantico in una secca, con l’utilizzo di un motore ancora efficiente.
Il primo pensiero? Portare la nave verso i bassi fondali del Nantucket Sound e incagliarla in una secca…
Tuttavia Calamai è perfettamente consapevole che una simile manovra, da compiersi con la nave già in evidente sbandamento a dritta ed in precarie condizioni di navigabilità, potrebbe causare ulteriori perdite nei passeggeri, a causa del prevedibile panico a bordo. La seconda opzione è quella di sacrificare il destino della sua nave e predisporre da subito ogni azione necessaria per porre in salvo i passeggeri e il suo equipaggio. Decide perciò in tal senso, spinto dal suo spirito di uomo coraggioso e comandante responsabile. Dalla plancia il comandante dirige con razionalità e competenza tutte le operazioni di soccorso, coadiuvato operativamente dal suo secondo in comando, il capitano Osvaldo Magagnini e dai suoi ufficiali.
… ma potrebbe causare altre vittime oltre alle 43 già accertate: meglio sacrificare la nave
Immediatamente gli Ufficiali Guido Badano e Curzio Franchini calcolano un preciso punto nave, indispensabile per le richieste di soccorso. Alle 23,21 Calamai ordina al radiotelegrafista Carlo Bussi la trasmissione del messaggio: Sos de iceh Sos here at 3:20 gmt Lat.40°30’N Long.69°53’W need immediate assistence – master Doria. Alle 23,43 L’ Ile de France risponde all’Sos del Doria e conferma l’arrivo in zona per le 01,45. Il transatlantico francese partito da New York il 25 mattina con 940 passeggeri è in rotta per l’Europa, destinazione Le Havre. Il secondo ufficiale dell’Andrea Doria, Guido Badano, diffonde con l’interfono, l’ordine ai passeggeri di recarsi, ordinatamente e con calma, ai punti di riunione con le cinture di salvataggio. Su ordine di Calamai, si cerca di predisporre la messa a mare delle scialuppe. La nave, però, è già sbandata a dritta di 19° e questo impedisce di eseguire la manovra di messa a mare delle scialuppe sul lato sinistro, rendendo inevitabile l’uso delle sole scialuppe di dritta. Alle 00,36 arriva in zona la nave frigo Cape Ann, al comando del capitano Joseph Boyd che mette a disposizione le sue due scialuppe. Allo stesso tempo, stabilizzati i danni di bordo, il comandante dello Stockholm mette a disposizione dell’Andrea Doria le sue 12 imbarcazioni di salvataggio. Sul lato destro del Doria, il primo ufficiale Carlo Kirn inizia a predisporre le prime scialuppe, privilegiando lo sbarco di donne e bambini. Intanto l’equipaggio di macchina dell’Andrea Doria mette in moto la dinamo di emergenza, mantenendo operative la rete di trasmissione degli ordini all’equipaggio, le pompe di esaurimento e la stazione radio telegrafica. Un generatore diesel d’emergenza sul ponte A garantisce l’energia elettrica e l’illuminazione in tutti i settori operativi della nave.
Fra i membri più eroici dell’equipaggio c’è un elettricista rimasti fino all’ultimo nel ventre della nave
Alcuni elementi dell’equipaggio hanno un comportamento esemplare, a tratti veramente di grande eroismo. Fra i tanti vale la pena citare la condotta del secondo elettricista Giordano Ban, addetto alla centrale elettrica, rimasto chiuso al pannello di controllo, nel ventre della nave, fino all’ultimo, per mantenere efficienti gli impianti di illuminazione e i servizi essenziali. Ban sarà poi uno degli ultimi ad abbandonare il locale macchine. Altro esempio di dedizione e altruismo è rappresentato dall’instancabile opera del cameriere Giovanni Rovelli, il quale si prodiga fino alla fine nel tentativo di salvataggio delle passeggere rimaste imprigionate nei rottami delle cabine 56 e 58 a seguito dello schianto.
Arriva in soccorso l’Ile de France che salverà 576 passeggeri e 177 uomini di equipaggio
Finalmente, alle 01,18, l’Ile de France arriva sul luogo dell’incidente, in anticipo sul tempo stimato. Il suo capitano, barone Raoul De Beaudèan, accende tutte le luci e accosta in prossimità del Doria per tranquillizzarne i passeggeri. Alle 02,21 il Cape Ann accoglie i primi superstiti a bordo. Alle 02,50 tutto il personale di macchina riceve l’ordine di evacuazione: ogni possibile manovra per prolungare la vita dell’Andrea Doria è già stata compiuta. Durante le fasi del trasbordo dei passeggeri sull’Ile de France, Calamai incarica Badano di portare un messaggio a Genova: “…dica alla mia famiglia che ho fatto tutto quello che dovevo fare…”. Guido Badano, indicando la nave francese, tenta di sdrammatizzare: ” ma comandante, lo farà lei quando torneremo a Genova”. Su ordine di Calamai, si telegrafa alla società armatrice Italia a Genova: ore 03,25 gmt- investiti in foschia 20 miglia da Nantucket da piroscafo svedese Stockholm – passeggeri trasbordati su piroscafi soccorritori – nave in pericolo – Calamai. Alle 04.57 l’Ile de France, dopo aver raccolto 576 passeggeri e 177 uomini di equipaggio del Doria, chiede il permesso di far rotta verso New York. Dalla plancia, Eugenio Giannini segnala il grazie da parte di Calamai. De Beaudèan dirige la sua nave e le fa compiere un giro attorno all’Andrea Doria a moto lento, con la bandiera di stato a mezz’asta e suoni di sirena. Uno struggente addio alla splendida nave ferita. Il transatlantico francese arriverà a New York alle 18 del giorno stesso.
All’alba il comandate Calamai è pronto a restare da solo a bordo della nave che sta affondando
E’ un alba livida quella del 26 luglio 1956. Il mare è calmo, Piero Calamai e 11 uomini del suo equipaggio sono ancora a bordo, il comandante è intenzionato a mantenere il possesso della nave per timore che, una volta abbandonata, l’Andrea Doria diventi preda di altri in base alla legge del mare. Il capitano dispone che tutti gli ufficiali del suo stato maggiore, per ordine di grado, si portino sull’ultima scialuppa a poppavia del ponte lance. A tal proposito Giannini ricorda: “Calamai, sporgendosi dal ponte lance, appoggiato alla ringhiera, ci disse di rimanere in zona, mentre lui rimaneva a bordo in attesa dei rimorchiatori di soccorso stimati in arrivo”. A queste parole il comandante in seconda Osvaldo Magagnini e gli altri ufficiali reagiscono con fermezza, facendo atto di ritornare a bordo. La reazione dei suoi uomini convince finalmente Calamai a scendere sulla scialuppa, ma nel suo cuore qualcosa si ferma. È un uomo distrutto! Sono le 05,30, l’Andrea Doria viene abbandonata. Alle 07,33 l’USS W. Thomas, nave per il trasporto truppe statunitense al comando delle operazioni di soccorso, comunica: “Doria inclinato di 45° a dritta”. Alle 08,43 la vedetta USS Evergreen dell’Us Coast Guard prende il comando delle operazioni.
Ma occorrerà attendere ancora 11 ore di agonia perchè transatlantico italiano affondi
L’Andrea Doria resiste ben 11 ore prima di affondare, prova tangibile della qualità del progetto originale e dell’abnegazione dell’equipaggio. Addirittura la nave affonda con il circuito d’emergenza e la pompa Sos di sinistra ancora efficienti. Alle 10:08 l’USS Evergreen comunica: “Andrea Doria affondata in 225 piedi (75 metri) d’acqua. Posizione 40°29’4’’N 60°50’5’’W. Il secondo ufficiale di macchina Giovanni Cordera ricorda: “alcuni di noi fecero il saluto militare all’indirizzo della nave che scompariva dalla vista”. Guido Badano ricorda : “…è come vedere morire un amico… giovane, bello, pulito… è stato molto triste…”. Lo stesso Badano annota su di un brandello di busta intestata Italia: ore 10.15 a fondo, mentre sul retro della busta segna il punto nave e gli ultimi rilevamenti Loran. L’aletta sinistra di poppa è l’ultimo particolare dell’Andrea Doria a riflettere la luce di un pallido sole, prima di scivolare per sempre sul fondo del mare già toccato dalla prua.
Lo Stockholm ha la prua completamente squarciata, ma riesce a raggiungere il porto di New York
Lo Stockholm nonostante abbia la prua completamente squarciata, riesce a raggiungere con i propri mezzi il porto di New York a mezzogiorno del 27 luglio, recando a bordo 311 passeggeri e 234 membri dell’equipaggio dell’Andrea Doria. Alle 11,00 Calamai, sofferente per una tromboflebite a una gamba, si imbarca accompagnato dai suoi ufficiali sul cacciatorpediniere USS Edward Allen, giungendo poi a New York alle 0:30 del 27 luglio. Appena giunti a New York, i naufraghi sono accolti dalla stampa di tutto il mondo e dalle troupe televisive, per i primi servizi televisivi di Ruggero Orlando e Walter Cronkite.
I servizi tv di Ruggero Orlando e Walter Cronkite raccontano la tragedia…
Immediatamente iniziano le schermaglie legali patrocinate da studi specializzati in diritto marittimo, nell’intento di definire cause e responsabilità a tutela degli interessi commerciali delle due compagnie armatoriali, di fatto assicurate entrambe presso i Lloyds di Londra. Il ministero della Marina mercantile italiana nomina, con un apposito decreto, una commissione speciale d’inchiesta formale presieduta dall’ammiraglio Candido Bigliardi. Intanto, dopo varie ispezioni dei periti di parte, il 19 settembre 1956, presso la Corte penale di New York, ha inizio il dibattimento dell’inchiesta preliminare, anticamera legale del processo vero e proprio.
… sulla quale qualcuno sarà subito pronto a dichiarare il falso
Fin dalle prime fasi del dibattimento, la tesi italiana e quella svedese appaiono diametralmente opposte, sebbene giorno dopo giorno la versione italiana acquisti sempre più credito. Gli Ufficiali italiani sostengono che lo Stockholm stesse incrociando a dritta, mentre il terzo ufficiale dello Stockholm, Carstens, dichiara il falso quando, ancora oggi, afferma che l’Andrea Doria era alla sua sinistra. In realtà, di quella notte è ormai stato ipotizzato che la condotta imprecisa del timoniere Larsen abbia tratto in inganno l’ufficiale svedese. Inoltre il radar dello Stockholm non risultava regolato nella misura della reale distanza dall’Andrea Doria, ma tarato sulla banda delle 5 miglia invece delle reali 15 miglia. Quando Carstens, credendosi a sei miglia dal Doria, ordina al timoniere Larsen di accostare a dritta di 22°, si trova in prossimità dall’Andrea Doria… confondendo una sicura e decisa rotta di scampo con una fatale rotta di collisione!
Misteriosamente non c’è più traccia degli ordini per l’ufficiale di guardia e del tracciato del radar…
Lo stesso comandante Nordenson, il 24 ottobre 1956, durante la sua prima deposizione in aula non riesce a rendere disponibile il brogliaccio degli ordini per l’ufficiale di guardia. Il brogliaccio è andato perduto anche sul Doria, ma, in questo caso, si tratta di una perdita comprensibile nella concitazione del naufragio. Stranamente, risulta misteriosamente cancellato anche il tracciato del plotting del radar dello Stockholm.
… e in tribunale il comandante Nordenson è confuso nella ricostruzione dei fatti prima di sentirsi male
Come se questo non bastasse, Nordenson si dimostra reticente e confuso durante la ricostruzione dei fatti accaduti, giungendo ad accusare un malore in aula. Proprio mentre si fa strada tra gli ufficiali italiani e il comandante Calamai la fondata speranza che si giunga a un onesto riscontro dei fatti accaduti, nel gennaio 1957, in pieno dibattimento, l’inchiesta sulle responsabilità viene bruscamente archiviata per accordi sommersi stretti tra la società Italia, la Swedish Home Lines e i vertici industriali dell’Ansaldo, che, presso i cantieri navali di Sestri Ponente, ha da poco varato la nuova ammiraglia della flotta svedese, la Gripsholm.
All’improvviso l’inchiesta viene archiviata per accordi sommersi tra la Swedish Home Lines e l’Ansaldo
Infatti, il giorno 21 dello stesso mese, a Londra, le parti si sono accordate ufficialmente con un testo destinato a rimanere segreto, rinunciando ai rispettivi reclami di risarcimento e impegnandosi al contempo a intraprendere un rapido iter di indennizzo delle parti civili. Tale accordo sancisce la formale rinuncia delle parti a giungere al processo. Il comandante Nordenson torna in patria accolto come un eroe.
Il testo dell’accordo? È destinato a rimanere segreto
Nel giro di breve tempo gli viene affidato il comando della nuova ammiraglia Gripsholm, ma Nordenson non potrà ritirare personalmente la nave al termine delle operazioni di allestimento a Genova, per il totale rifiuto delle maestranze italiane a prestare assistenza alla consegna, nei riguardi del capitano svedese! I vertici della società Italia confermano la loro “solidale fiducia” verso l’operato di Piero Calamai e gli promettono il comando della gemella del Doria, la Cristoforo Colombo. Questo comando non giungerà mai, a fronte di una affrettata quiescenza.
Le ultime parole di Calamai sul letto di morte: ” i passeggeri sono tutti in salvo?”
Piero Calamai muore il 7 aprile 1972. La sua ultima struggente frase nel delirio: ” i passeggeri sono tutti in salvo? “. Il Capitano Guido Badano ricorda ancora oggi il suo comandante, Piero Calamai, in questo modo: “Ufficiale brillante e ambizioso, fin timido nei rapporti personali, un gentiluomo moderno, semplice e umano con tutti, preciso, prudente, con un tratto signorile con i passeggeri e soprattutto con un grande senso del dovere!”. Attitudine umana e professionale che lo ha reso protagonista, con i suoi uomini, del più brillante salvataggio in mare della storia. Per ironia della sorte, John Carrothers, esperto navale americano, ufficiale di macchina e collaboratore dell’US Naval Istitute, dopo la pubblicazione di vari articoli a beneficio di una onesta ricostruzione dei fatti accaduti, basandosi sui dati oggettivi dei grafici di rotta Sperry, nel 1972 concluse la sua indagine a completo favore della tesi italiana e, in data 10 marzo 1972, scrisse una lettera indirizzata a Pietro Calamai, lettera che il comandante italiano non aprì mai, le figlie la trovarono ancora sigillata alla sua morte. La missiva concludeva così: “…Stia sicuro comandante Calamai, ci sono molti di noi che sarebbero onorati di servire al suo comando in ogni momento…”. Calamai non aprì mai quella lettera indirizzata a lui, nell’ultima delle rare interviste concesse, al giornalista Silvio Bertoldi disse: “ho sempre amato il mare… ora lo odio, questa tragedia è stata la rovina della mia vita”.
All’Accademia navale di King’s Point il disastro del Doria viene ancora oggi ricostruito nelle esercitazioni…
Ancora oggi all’Accademia navale statunitense di King’s Point, dove si formano i quadri della marina mercantile americana, il titolare della cattedra di scienze della navigazione Robert Meurn, compie periodiche esercitazioni con gli allievi ufficiali, all’interno di un sofisticato simulatore di navigazione computerizzato, ricreando a uso didattico la fedele ricostruzione del tragico scontro di quella notte del luglio 1956, con risultanze indiscutibilmente a favore della tesi italiana, suffragata ormai da un’ampia bibliografia in materia. In base alla simulazione Meurn, per prestar fede alla dichiarazione di Carstens, si è stabilito che per collidere nei tempi e nella posizione d’impatto, l’Andrea Doria avrebbe dovuto compiere una manovra a “S” a una velocità ben oltre le reali possibilità della nave.
… con gli stessi identici risultati: a compiere l’errore fatale fu lo Stockholm
La commissione d’inchiesta Bigliardi giunse alle stesse conclusioni già nel 1957 ma, per ragioni misteriose, il documento ufficiale è emerso solo recentemente dagli archivi ministeriali. In un Paese come l’Italia, da sempre indulgente e comprensivo nei confronti di chi si comporta con viltà e indifferenza, ma giudice implacabile e subito immemore delle figure di Valore, ricordare oggi Piero Calamai e chi si prodigò con coraggio quella notte è come progettare il riscatto morale delle generazioni future, non delle presenti, ormai annichilite da decenni di “coltivazione intensiva” dell’ignavia e del ripiegamento verso gli istinti personali più egoisti. In fondo a questa “sottile linea blu” di riscatto, si potrà vedere Piero Calamai, finalmente in pace e di nuovo in armonia con il mare, che non ha mai smesso di amarlo a dispetto della codardia degli uomini.