sabato 14 dicembre 2013

Il piroscafo Giuseppe Dormio

piroscafo Giuseppe Dormio
Il piroscafo Giuseppe Dormio era costruito a Glasgow nel 1904 per la compagnia Russa FC Zvorono con l’nome Italia. Con tempo la nave aveva cambiato più armatori. Nel 1928 e stata acquistata dall’armatore Barese Giuseppe Dormio che gli ha dato il suo nome. Dopo l’armistizio del ‘43 la nave era passata in mano tedesca. Gestita dalla compagnia Mittelmeer Rederei Trieste. Era a disposizione delle forze armate tedesche. Dormio era un classico esempio di costruzione well deck, come d'altronde anche Luana che erroneamente anche adesso e’ chiamata Dormio. La nave era 72 metri lunga e 12 metri larga, era un classico esempio di mercantili di quel epoca. Affondata il 11 agosto del ’44 saltata su una mina nel Quarnero. Purtroppo 6 marinai morirono nella tragedia.
 La nave affondò a sud di Fianona sul attuale tragitto di mercantili da e per Fiume. Forse anche qua la ragione perché per un bell’ periodo di tempo e rimasta poco visitata e sconosciuta ai sub. Le prime informazioni sul relitto ci arrivano dai pescatori di Fianona che parlavano di un relitto in zona, forse un aereo. Il punto lo abbiamo trovato dopo circa un ora di ricerca. La prima immersione era in programmata per giugno. Oliver ci ha portato sul punto. Una volta trovato sul ecoscandaglio buttiamo la sagola. Massimo ed io ci buttiamo in mare e cominciamo la discesa. Il fondo e 62 metri, la coperta 58. La sagola ha beccato il castello di poppa in pieno. E qui la prima sorpresa. Dalle foto in possesso non ci doveva essere un castello di poppa. Sul fondo non ce corrente e la visibilità e buona. Una decina di metri. La nave e in assetto di navigazione con la prua verso Fiume. Proseguiamo seguendo il fianco destro della nave verso la prua. Sul fianco si vede una rete a strascico. Proseguiamo e arriviamo a prua. Praticamente tutta la prua fino al albero e coperta dalla rete. Adesso seguendo il fianco sinistro proseguiamo verso la poppa. Cerchiamo di ricordare più dettagli possibile per poter identificare il relitto. Scendiamo sotto la poppa. L’elica e quasi completamente nel fango. Un altro giro su poppa e cominciamo a risalire. Una volta in superficie ne discutiamo. A parte il castello di poppa tutto quadra. Parlando con il giornalista Marijan Zuvic di Spalato, un esperto di navi, vengo a conoscenza dell’ fatto che le modifiche di queste navi erano frequenti in tempi di guerra. Probabilmente anche sul Dormio e stato aggiunto il castello di poppa con una mitragliatrice. Il dubbio resta.
Luglio e agosto non lasciano molto tempo a immersioni esplorative. Ci torniamo i primi di ottobre. Buttiamo la sagola. In acqua Andrea, Giovanni ed io. Purtroppo già a 50 metri ci imbattiamo in un banco di nebbia. La corrente sul fondo ha alzato il sedimento e ridotto la visibilità ad un paio di metri, forse due. Di nuovo abbiamo beccato la poppa. Dopo circa mezzora d’immersione sul relitto il dubbio rimaneva. La visibilità era cosi brutta che non eravamo in grado di identificare il relitto. Dopo l’immersione tutti d’accordo su fatto che per essere certi dobbiamo tornarci e trovare una prova che questo sia veramente Giuseppe Dormio. Troppe volte e capitato che relitti erano erroneamente identificati. Speriamo di tornare al piu’ presto su Giuseppe Dormio ho forse un relitto sconosciuto

http://www.krnica.com/i/olupine2.asp?page=4





 

mercoledì 6 novembre 2013

Tragico"Tsunami del 2011" :navi,batelli e detriti in strada


Tokyo (TMNews) - Una volta c'era "l'Olandese volante", il vascello fantasma destinato per un destino crudele a solcare i mari in eterno, senza una meta precisa, spesso avvistata avvolto in una nebbia o in una luce spettrale. La sua versione odierna si trova arenata nel cuore di Kesennuma, cittadina a nord est del Giappone.

Lo tsunami del 2011, oltre a migliaia di detriti e resti di costruzioni finiti nel fondo dell'oceano ha scaraventato sulla terraferma decine e decine di segnacoli incongrui della sua furia devastante. Come il malinconico e tragico relitto della Kyotoku-maru 18, battello da pesca finito nei gorghi dell'onda anomala che sconvolse il Giappone l'11 marzo di due anni fa.

In un primo tempo le autorità municipali aveva deciso di conservare i resti dell'imbarcazione come imponente e silenzioso monito della tragedia. Ma un sondaggio recente ha cambiato i progetti dopo che il 70% degli abitanti di Kesennuma ha deciso per lo smantellamento.

Da simbolo tragico e ferrigno dello tsunami, la Kyotoku-maru 18 finirà la sua carriera in un cantiere di smantellamento, riciclando generosamente la sua chiglia rossa e blu lambita dalle fiamme dell'incendio che distrusse parte della cittadina dopo il maremoto giunto dal mare e che provocò, nel Giappone nord-orientale, un'ecatombe di 18mila

 vittime.http://video.tiscali.it/canali/News/Esteri/176954.html



 




 

Monastir la nave fantasma di Leuca

Monastir - nave fantasma
Monastir nave fantasma

1979 – 2009 - 30 anni da quel tragico evento che per alcuni mesi cambiò il volto della marina e le abitudini di molti cittadini del basso Salento. Leuca fu riscoperta ed iniziò la frequentazione invernale di S. Maria di Leuca.
Ecco come andarono i fatti:
Novembre 1979: tardo pomeriggio, giornata di scirocco e forte mareggiata che riempiva l’ antico lungomare di schiuma e salsedine vaporizzata. Alcuni vecchi marinai del luogo avevano da poco terminato la classica partita a bocce usando i lati sterrati della strada come piste da gioco. Il mare sempre più minaccioso faceva intravedere in lontananza la sagoma di una nave in balia dei marosi seguita a poca distanza da un’ altra grossa nave senza luci di segnalazione.
Per chi da terra scorgeva le navi  dondolare prede del mare in tempesta, lo spettacolo incantava  non permettendo allo sguardo rapito di fissare altro se non le strane evoluzioni compiute da questi mostri d’acciaio. Ma all’improvviso accade qualcosa che cattura l’attenzione: una delle due sagome nere e precisamente quella senza luci cambia rotta, puntando decisamente verso gli scogli della marina di Leuca.Prima increduli poi sempre più preoccupati, i vecchi marinai ed i curiosi presenti sul lungomare iniziarono ad urlare per tentare di avvisare l’equipaggio della nave - che sembrava ignaro dell’accadimento - l’incombente pericolo cui stava andando incontro. Ma nessun segnale giungeva dalla sagoma nera, sempre più vicina e minacciosa  con la sua prua puntata dritta sul lungomare di Leuca.
Segnali, urla, imprecazioni e stupore  poi un tonfo sordo e rumore di lamiere stridenti sugli scogli. La Monastir si era adagiata su un fianco alla destra della spiaggetta del Terminal. Se solo il mare l’avesse portata a naufragare 30 metri più a sinistra , si sarebbe potuta schiantare direttamente contro l’ albergo. La fortuna, il caso, il mare…avevano schivato una vera e propria tragedia.
La nave fantasma che era al  traino dell’altra imbarcazione, quella con le luci, diretta  verso la sua fine  cioè un cantiere di demolizione, decise  di terminare i suoi giorni sugli scogli di Leuca regalando per alcuni mesi a migliaia di curiosi un’insolito panorama tra punta Meliso e punta Ristola.     
Toni De Veglia
http://www.leucaweb.it/santa_maria_di_leuca/ultime-notizie-leuca/monastir-nave-fantasma-74.php

domenica 3 novembre 2013

"Dimitrios" relitto di laghi Alimini-Otranto



La "Dimitrios" foto anni 70


Una vecchia carcassa di nave arenata presso gli Alimini a pochi metri dalla riva, nel corso degli anni era divenuta meta di lunghe passeggiate per chi voleva crogiolarsi al sole camminando sulla battigia in compagnia del suono del mare e del vento. Quell’ammasso di ferraglia arrugginita, malgrado l’impatto ambientale, era diventato parte integrante del paesaggio tanto che quel posto fu detto, ancor prima della nascita di un lido balneare, "alla nave".

Ai più, l’episodio riguardante l’incagliamento della motonave è poco noto.

La Dimitrios, così si chiamava, era una nave da carico greca di sessantuno metri che stazzava 498 tonnellate. Come tante altre grosse imbarcazioni, solcava il Mediterraneo per trasportare merci nell’ambito dei fittissimi scambi commerciali intrattenuti dall’Europa continentale con il Medio Oriente e l’Africa settentrionale. Negli anni Settanta, difatti, l’intensità del traffico e dei commerci marittimi avevano reso i porti di Brindisi e di Taranto i più frequentati del Salento. Le navi merci, tuttavia, erano poco più che "carrette" (1) – così come le definì il deputato gallipolino del PCI Giorgio Casilino (1919-2006) in una seduta della Commissione Parlamentare Trasporti del dicembre 1979 – con strumentazioni inadeguate alla navigazione la cui difficoltà, inoltre, era dettata dalla mancanza di segnalazioni e di indicazioni sulle carte nautiche. Per tali motivi non era così raro vedere imbarcazioni arenarsi lungo le coste del Salento come, ad esempio, avvenne anche per la tunisina Monastir che si incagliò sul litorale di S. Maria di Leuca alle ore 18.30 del 4 novembre 1979 (2).

La Dimitrios, appartenente alla società armatrice "Petros e Mamas Leonidas Kritikos" di Atene, era partita dal Pireo il 10 dicembre del 1978 con un carico di 450 tonnellate di crusca, cruschello e farinacei vari per un valore complessivo di 45.900 dollari statunitensi corrispondenti, allora, a circa 87 milioni giustifydi lire italiane. La destinazione del viaggio era il porto di Pesaro dove la ditta "Chimex" attendeva la merce che, a sua volta, le era stata commissionata dalla società inglese "St. George Mill’s". All’alba del 19 dicembre, e precisamente alle 4.00 del mattino, la Dimitrios si arenò, come tantissime altre navi del passato, nelle insidiosissime secche degli Alimini (3). La motonave, allora, cominciò a inclinarsi sul fianco destro con la prua rivolta verso Otranto e, essendo a soli dieci metri dalla riva, tutto l’equipaggio con il comandante Larpatos abbandonò in fretta il naviglio lasciandone incustodito il carico. Diffusasi la notizia dell’incagliamento diverse persone, rimaste sconosciute agli inquirenti, cercarono di far razzia dei cereali trasportati aprendone le stive. Il saccheggio, però, non portò ai risultati sperati poiché le acque penetrarono negli scompartimenti rovinando gran parte della merce e disperdendone in mare quella restante. Strumentazione e ogni altra suppellettile furono, invece, portate via. La società assicuratrice "The Marine Insurance Co. Ltd." di Londra risarcì il committente per la perdita del carico trasportato dalla Dimitrios inoltrando all’armatore greco, tramite il procuratore leccese Alfredo Lonoce, richiesta di rivalsa per l’importo di 50 milioni di lire. Accettando l’istanza, il Tribunale di Lecce emise il 30 agosto 1979 un provvedimento di sequestro conservativo e poi, verso la fine di quello stesso anno, il giudice istruttore Donato Planteda disponeva la vendita, entro trenta giorni, della motonave (4). Probabilmente l’asta non andò a buon fine se lo stesso deputato Casalini, il 7 maggio 1980, chiedeva alla X Commissione Trasporti quali fossero i motivi che impedivano il recupero e la demolizione del natante al fine di poter liberare il mare otrantino da un potenziale pericolo per la navigazione, la pesca e il turismo (5). Certamente per giungere alla soluzione della questione era necessario superare una moltitudine di ostacoli e di burocrazia, tipicamente italiana, e perciò fu il mare a risolvere il tutto ingoiando lentamente quanto giorno per giorno restava di quel relitto.

di Vincenzo D'Aurelio
 http://culturasalentina.wordpress.com/2013/06/28/il-relitto-degli-alimini/
 

ft-web



 

domenica 29 settembre 2013

Moby Prince-la tragedia

Moby Price,10 Aprile 1991-Porto di Livorno il traghetto Moby Prince entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Arsi vivi nel traghetto non hanno avuto scampo il petrolio in fiamme ha sommerso la nave. Nel rogo successivo allo schianto morirono 140 persone. A 22 anni dalla tragedia non ci sono ancora colpevoli.


 
 

giovedì 26 settembre 2013

Il nocchiere,chi è?


gradi tubolari 2°Capo nocchiere
Il nocchiere ha approfondito la conoscenza dei motori marini teoricamente e praticamente. Conosce i guasti ricorrenti ed è in grado di svolgere riparazioni. È in grado di smontare, pulire, lubrificare e rimontare le parti principali del motore. Sa svolgere le più importanti manovre (partenza, ormeggio, ancoraggio, prendere e dare rimorchio, recupero di uomo in mare) in ogni ruolo su un’imbarcazione a motore, conosce le dotazioni di sicurezza, le regole per prevenire gli abbordi e tutti i segnali diurni e notturni dei natanti .

"Quelli che s'innamorano di pratica senza scienza sono  come i Nocchiere, che entra in naviglio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada."
-Leonardo da Vinci-
Caronte nocchiere delle Anime


mercoledì 25 settembre 2013

Affondamento Fregata F553 Castore



Fregata F 553 Castore - in servizio dal 1957 al 1980
fregata Castore F553

Questa unità faceva parte della classe Centauro, una serie di quattro fregate costruite all'inizio degli anni 50 in conto MDAP (Mutual  Defence  Assistence Program) con concorso della NATO. Le quattro navi erano la Centauro, la Canopo, la Castore e la Cigno. Furono costruite nei cantieri di Livorno e Taranto. La Castore affondò al largo di Civitavecchia nel 2001 mentre veniva portata in Turchia per la demolizione
Fregata F553 Castore
Dislocamento: 2137 tonnellate Lunghezza:103,10 metri Larghezza:12,00 metri Velocita':26 nodi (48 km/h) Autonomia: 2860 miglia nautiche a 18 nodi (5300 km a 33,5 km/h) Autonomia:2860 miglia nautiche a 18 nodi (5300 km a 33,5 km/h) Propulsione:22000 hp, 2 caldaie, 2 turbine a vapore Tosi - 2 eliche Armamento:4 cannoni da 76mm in impianti binati, poi sostituiti da 3 cannoni da 76mm in impianti singoli
4 mitragliere da 40mm (poi sbarcate)
2 lanciarazzi illuminanti trinati
1 mortaio antisommergibili Menon
4 mortai Menon corti (poi sbarcati)
6 tubi lanciasiluri da 533mm (poi sostituiti da 2 lanciasiluri trinati da 324mm)

1 scarica bombe di profondità(aggiunto in seguito)
  
 

 motto:"Ardisco ad ogni impresa"
 
Modello fregata Castore F553.costruito dal modellista -Braga Gabriele-www.amicisanmartino.it


lunedì 13 maggio 2013

Heleanna:Naufragio al largo di Monopoli




La storia del naufragio della nave Heleanna inizia negli anni '60 quando l'armatore greco Constatino S. Efthymiadis comprò quattro petroliere svedesi per la loro conversione a navi passeggeri. Le quattro navi furono

la MARIA GORTHON (rinominata PHAISTOS), nel 1963;
la SOYA-MARGARETA (rinominata MINOS), nel 1964;
la SOYA-BIRGITTA (rinominata SOPHIA), nel 1965;
la MUNKEDAL (rinominata HELEANNA), nel 1966.[1]
La nave Heleanna. Dopo la riconversione le navi mantennero il loro aspetto ma per accogliere passeggeri furono dotate di cabine poste tra il ponte superiore e la sala macchine. Boccaporti furono poi aperti nelle fiancate. Le navi operarono principalmente tra il Pireo e Creta o tra Patrasso ed Ancona.
Il naufragio della nave Heleanna, in servizio sulla rotta Ancona-Patrasso, si verificò all'alba del 28 agosto del 1971, quando una fuga di gas dai locali della cucina provoca un forte incendio.
Al momento del disastro la nave, diretta verso Ancona con 1174 passeggeri (circa il doppio dei 620 consentiti) e circa 200 autovetture, era a 25 miglia nautiche a nord di Brindisi ed a 9 miglia nautiche a largo di Torre Canne, nei pressi di Monopoli.
Delle dodici scialuppe di salvataggio più della metà avevano gli argani bloccati e non poterono essere calate in mare. Di quelle calate, una, a causa dell'eccessivo affollamento, si ribaltò.
L'incidente provocò più di 20 morti di diversa nazionalità, tra cui italiani, francesi e greci, e circa 270 feriti.
Foto aerea della motonave Heleanna durante il soccorso. Il comandante della nave, Dimitrios Anthipas, poi condannato sia dalla magistratura italiana che da quella greca per i tragici fatti, cercò la fuga il 30 agosto del 1971, ma venne arrestato nel porto di Brindisi prima di riuscire ad imbarcarsi furtivamente, insieme alla moglie, su una nave diretta in Grecia.
Le successive inchieste dimostrarono le pessime condizioni della nave ed il cattivo funzionamento dei sistemi di soccorso e degli idranti antincendio presenti.
È interessante notare come all'epoca dei fatti, e successivamente fino al 27 febbraio 1973, l'Italia rivendicava solo 6 miglia nautiche come acque territoriali; in tal senso dunque l'incidente avvenne in acque internazionali. Ciò nonostante le autorità italiane dichiararono la loro competenza a processare il comandante della nave sulla base del fatto che parte delle vittime del disastro erano certamente morte in acque territoriali italiane ed almeno una era morta in ospedale a Brindisi. Dal canto loro le autorità greche si interessarono alla vicenda dal momento che la nave batteva bandiera ellenica.[2]
I soccorsi aereonavali partirono da Brindisi, Bari, Monopoli, Taranto e Grottaglie, anche con la partecipazione di alcuni pescherecci privati (Laura, Madonna della Madia, Angela Danese, Nuova Vittoria, S. Cosimo) [3]che aiutarono nella ricerca dei dispersi in mare ed al soccorso dei naufraghi. L'incendio venne domato dopo molte ore. Il relitto venne rimorchiato al porto di Brindisi, dove rimase fino al 1974 nei pressi del castello Alfonsino prima di essere rimorchiato ai cantieri navali di La Spezia, demolito e trasformato in chiatta.
Per l'aiuto e l'accoglienza offerti dalla città di Monopoli ai naufraghi del naufragio dell'Heleanna, il 15 ottobre del 1972 il Capo dello Stato Giovanni Leone conferì alla città la Medaglia d'Argento al Merito Civile in riconoscimento dell’antica tradizione di ospitalità e di civismo della sua popolazione.

ft,aerea MT..Heleanna durante i soccorsi 

peschereccio di Monopoli in soccorso ai naufraghi

Monopoli-lato mare porto monumento ricordo naufragio Heleanna




Il cimitero delle navi-dove vanno a "morire "le petroliere?

E questo è il punto: dove vanno a "morire" le petroliere? Oggi smantellare navi è soprattutto un lavoro da "paesi poveri". Intere spiagge in India, Bangladesh, Pakistan e in parte Turchia sono diventate "cimiteri" dove le carcasse di navi sono sezionate da lavoratori di solito armati di seghe e fiamma ossidrica, smontate per toglierne i metalli riciclabili, pezzi di macchinari - chi ha visto questi cantieri li ha descritti come gironi infernali di chiazze oleose, barili che perdono, veleni nerastri e lamiere arrugginite. Questi quattro paesi più la Cina smaltiscono oggi il 90% delle navi rottamate dai paesi industrializzati (l'India ha la parte del leone, il 60%, ma Pakistan e Bangladesh si aggiudicano le navi più grosse). Gli standard di sicurezza sono minimi, o zero.
Insomma: mandare vecchie petroliere alla demolizione in paesi in via di sviluppo è un modo ben mascherato di esportare rifiuti tossici.

 

"Nel cantiere di Potenza Beach, nel porto di Chittagong, si trovano quasi 20 navi l’una accanto all’altra in varie fasi di smantellamento. Sbadigliano, mostrando i loro corpi sventrati e versando inquinamento sulle rive sabbiose. I lavoratori sono esposti a numerosi rischi: cadute, incendi, esplosioni e vengono a contatto con diversi tipi di sostanze chimiche tossiche."Troppo spesso le navi che i miei operai demoliscono contengono sostanze che li danneggiano," dice un capo cantiere. "Ma se la navi non vengono demolite, perdiamo il lavoro. Per questo dobbiamo farlo comunque." I circa 1500 operai dei cantieri di Chittagong guadagnano a malapena 2 dollari al giorno per distruggere le carcasse di acciaio. La maggior parte di loro non indossa indumenti di protezione. Molti non possiedono neanche guanti per proteggere le mani dai tagli causati dalle enormi lastre di metallo. Come in altri cantieri di demolizione del sud dell’Asia, la poca tecnologia che vi si trova è spesso rudimentale. Ci sono testimonianze di cavi che saltano in aria e di esplosioni inaspettate.
Il Bangladesh è fortemente dipendente dall’industria di demolizione navale per l’approvvigionamento interno di acciaio e non si preoccupa di applicare alcuna restrizione all’industria in nome della sicurezza ambientale e dei lavoratori. Non esiste alcun corpo di controllo equipaggiato per far valere le norme basilari di sicurezza ambientale o per assicurare la protezione dei circa 30mila lavoratori direttamente coinvolti nella demolizione navale. Chittagong è oggi il secondo più grande centro per questa industria dopo Alang in India. Chi è responsabile per questa situazione ?
Oltre il 90 per cento delle 700 navi che ogni anno vengono fatte a pezzi finisce sulle spiagge di India, Pakistan e Bangladesh. Migliaia di operai lavorano per fare a pezzi le imbarcazioni e ricavarne ritagli di metallo. La maggior parte di queste sono state costruite negli anni ’70, prima che molte sostanze pericolose venissero bandite. Allora venivano utilizzate grandi quantità di amianto, vernici contenenti cadmio, ossido di piombo e anticorrosivo al cromato di zinco, e tinture contro le incrostazioni fatte di mercurio e arsenico.
Le carrette del mare conservano anche un’ampia gamma di altri rifiuti tossici come PCB, stagno tributilico e diverse migliaia di litri di petrolio. Le petroliere trattengono fino a 1000 metri cubi di petrolio residuo. In Europa, questi materiali sono soggetti a controlli speciali e a regole molto rigide. Sulle spiagge aperte di Chittagong, nel Bangladesh sud occidentale, invece, le vecchie imbarcazioni vengono fatte a pezzi in condizioni di lavoro disumane..."
di Matt Shonfeld






Erika e Prestige, petroliere di disastri ambientali.

Erika
Chi non ricorda il disastro della petroliera Prestige, che ha disseminato petrolio greggio sulla costa settentrionale spagnola distruggendo l'industria peschiera per oltre un anno. E prima ancora la Erika, che ha inquinato le coste francesi. Disastri ambientali con costi umani e finanziari altissimi. Ebbene: proprio i casi della Prestige e di Erika hanno spinto prima l'Unione europea, e poi l'Unione marittima mondiale, a decretare il bando dal 2005 delle petroliere con scafo singolo, più suscettibili di disperdere il loro carico in caso di incidente (tutte quelle più moderne devono avere il doppio scafo). Questo significa che un gran numero di vecchie petroliere andranno "rottamate" e cosi è stato. Smantellare una nave è un affare assai complicato, costoso, tossico per chi lo compie, e inquinante. Greenpeace lanciò un allarme: c'è il rischio di esportare un gravissimo inquinamento sulle spiagge asiatiche, e in parte africane.
Quante navi andranno demolite si possono solo fare stime? "La ben nota mancanza di trasparenza dell'industria della navigazione sarà un gap critico nell'applicazione delle norme per smantellare" queste navi. 334 vecchi catorci sono responsabilità nostra, pari a 16 milioni di Dwt ( dead weight tonnellage, la misura espressa in tonnellate della capacità di portata di una nave a pieno carico, incluso il petrolio, le riserve d'acqua e carburante e l'equipaggio). Si chiede Greenpeace: come pensa l'Unione europea di attenersi alle sue responsabilità se non esiste un ente che possa identificare con precisione le petroliere e controllare che si attengano alle norme per lo smantellamento? Il fatto è che una petroliera contiene sia residui di greggio, sia amianto e composti chimici come il Tbt (tributyl tin): nei paesi industrializzati i lavoratori che vengono a contatto con queste sostanze devono obbligatoriamente proteggersi occhi, pelle e vie respiratorie.

Prestige